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Il DIY&Garden degli altri: la Svizzera

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“Grüezi”. È solo una delle più comuni modalità per salutarsi in Schwyzerdütsch, la forma dialettale tedesca con le sue tante sfumature locali che predomina il panorama linguistico della confederazione elvetica.

La globalizzazione economica e culturale non è riuscita a scalfire l’orgogliosa abitudine alla lingua delle proprie origini, al punto che lo Schwyzerdütsch viene frequentemente parlato persino nelle aule universitarie, nei dibattiti televisivi e comunemente utilizzato nei messaggi pubblicitari.

Si potrebbe per analogia fare riferimento alla distribuzione del DIY&Garden, che vede ampiamente primeggiare i colossi locali, dopo quasi due decenni dai primi tentativi di penetrazione nel mercato svizzero da parte delle grandi catene internazionali.

La globalizzazione non è riuscita a sottrarre dalle loro mani, solide e coriacee, lo scettro dei primi della classe e solo alcune delle insegne più note di estrazione germanica hanno fatto segnare qualche modesto successo.

Del resto, la secolare vocazione all’autodeterminazione e la fiera posizione neutrale nei confronti delle grandi potenze e della stessa UE viene coerentemente “celebrata” proprio in questi giorni di lotta alla pandemia. Infatti, le pressioni esercitate da Francia, Germania e Italia, preoccupate dalle potenziali conseguenze di una terza ondata, volte a scongiurare l’apertura degli impianti sciistici elvetici e la loro “sleale” concorrenza nei confronti delle stazioni alpine UE, non hanno sortito alcun effetto.

Un altro segnale netto che ci fa comprendere meglio quanto possa essere arduo, sia pure in un contesto internazionale in continuo fermento, cui la stessa Svizzera partecipa da protagonista con il suo sistema finanziario, industriale e commerciale, e da cui trae certamente profitto, partecipare al “banchetto” del mercato del bricolage e dell’outdoor elvetico, senza fare i conti con la radicata propensione alla strenua difesa dei “valori” locali.

È in questo contesto che la tedesca OBI ha approcciato il mercato dei centri del Fai da te nell’ormai lontano 1999 e poi stringendo un accordo con uno dei player protagonisti del tradizionale “oligopolio” locale, la MIGROS, e che ha partorito in un ventennio 10 punti vendita, prevalentemente concentrati nei cantoni svizzeri di lingua tedesca.

Dal canto suo, l’insegna BAUHAUS (D) annovera 5 punti vendita. La sola HORNBACH (D), che conta 7 punti vendita, e che dichiara un obiettivo di 15 PdV, ha “messo un po’ di più il naso” al di qua della “Sarine”, ovvero nei cantoni romandi di lingua francese, con 2 punti vendita.      

Già, la Sarine, ma cosa sarà mai? Un breve ripassino in geografia ci svela il significato storico di questo fiume, di modeste dimensioni, affluente del maestoso Reno, e che segna nel cantone di Friburgo longitudinalmente il “confine” tra la Svizzera di lingua tedesca e quella di lingua francese. 

Persino la pandemia in corso ha messo a nudo le contraddizioni, ma anche e soprattutto le specificità del sistema socio-politico multiculturale elvetico, con i cantoni romandi a fare i conti con una preoccupante impennata del numero di contagi, e quelli “tedeschi” quasi ad osservare attoniti le peripezie del sistema sanitario collocato “al di là della Sarine”.   

E così a mettere tutti d’accordo, “volenti o nolenti”, distribuzione e consumatori, nel mercato del Food & Beverage, come nel Grocery e in quello che ci interessa di più, del DIY & Garden, dominano le imprese svizzere, i cui quartier generali sono prevalentemente collocati nei cantoni svizzeri tedeschi.

Ciò nondimeno, la loro presenza è capillare e copre l’intero territorio elvetico, coinvolgendo anche le due restanti aree linguistiche nazionali, quella italiana (Ticino, Grigioni) e quella romancia (il cantone dei Grigioni).

Le catene distributive più importanti, per dimensioni e superfici di vendita sono:

COOP Bau+Hobby (CH)
Do it + Garden (MIGROS) (CH)
Jumbo (CH)
Hornbach (D)
Obi (D, in cooperazione con MIGROS)
Bauhaus (D)

La grande COOP elvetica è il leader di mercato. È un gruppo composito, che annovera diverse insegne e format, di piccole e grandi dimensioni, i cui centri del bricolage recano le denominazioni COOP BAU+HOBBY, oppure COOP Brico+Loisirs, o ancora COOP Edile+Hobby, secondo la collocazione geo-linguistica del punto vendita.

Un aspetto, quest’ultimo, non trascurabile della specificità e anche della complessità cui le imprese distributrici devono fare fronte, comune a tutti gli altri settori economici e non del paese, per venire incontro ai bisogni dei consumatori del mercato “nazionale”, che ha però modi di comunicare e di “sentire” non sempre omogenei, se non addirittura a volte assai diversi.  

Vale forse la pena ricordare che queste complessità sono oggi, almeno parzialmente, mitigate dall’uso ampio e diffuso dei moderni “media” e della rete, ma d’altro canto sono rese ancora più sfidanti dalla multi-etnicità della società elvetica, che conta da anni circa il 30% (ebbene si, non è un errore di battitura, la percentuale è ben prossima al 30%) di popolazione residente con estrazione culturale e linguistica di altri paesi europei e di altri continenti.

Un vero e proprio “melting pot” alle porte di casa nostra, in parte di lontana origine, se si considera che la popolazione immigrata dai paesi più prossimi, per cultura e lingua, come quella italiana, spagnola o portoghese, è quasi completamente “acquisita” e già alla seconda o perfino terza generazione. E tutto questo “compresso” in poco meno di 8 milioni di abitanti, meno della sola Lombardia.

Dunque, perché mai dovrebbe destare tanto interesse il mercato del DIY & Garden in un contesto così variegato e “complesso”?  Vale forse la pena ricordare che la Svizzera rappresenta il 3° PIL pro-capite al mondo, che ammonta a 83.161 CHF, secondo le fonti del FMI (2018), che il numero dei PdV complessivi delle catene distributrici “specializzate” del settore conta circa 200 negozi e che il mercato di riferimento viene valutato in ca. 2,4 miliardi di CHF.

Non andrebbe dimenticato, che il mercato di settore svizzero, analogamente ad altri settori commerciali e industriali, non è certo estraneo all’importazione di prodotti dal lontano oriente. Tutt’altro, eppure giova ricordare che è un mercato ancora oggi caratterizzato da una forte propensione ai prodotti di qualità e ai marchi riconosciuti.

Il paese possiede un bagaglio considerevole di competenza e “dimestichezza” in molti settori (industria meccanica, quella di precisione, non solo orologi, ma anche micro-elettronica, apparecchi medicali ecc..) che trova conferme nel riconosciuto marchio “SWISS MADE”, sinonimo di qualità a livello internazionale, apprezzato dal consumatore nazionale.  

È dunque ancora significativa la profittabilità del mercato elvetico, pur protagonista di un andamento un po’ altalenante negli ultimi anni, ma ancora oggi capace di “produrre” un prezzo medio che si attesta ben al di sopra di quello praticato nei mercati confinanti.

Tuttavia, pur in una situazione socio-economica florida, che presenta i numeri sopra enunciati, non può passare inosservato ai più attenti attori della scena economica e politica del paese, che lo si voglia o meno, che anche la Svizzera non è estranea al fenomeno dell’erosione del potere d’acquisto di almeno parte del ceto medio.

E la pandemia in corso, pur gestita, a torto o a ragione, con un approccio più “protestante” e quindi attento alla salute pubblica (che qui, di fatto, è esclusivamente privata, dal momento che ogni residente, fin dalla nascita o dalla prima “elezione” di domicilio sul territorio elvetico, ha l’obbligo di scegliersi l’assicurazione malattia privata di base e opzionare o meno le assicurazioni sanitarie complementari), ma anche all’economia del paese, sta dando maggiore “visibilità” a quella parte di popolazione, il cui numero è in crescita, bisognosa di sostegno sociale.

I centri di bricolage e giardinaggio hanno condiviso con il primo lockdown di marzo e aprile, pur contenuto nelle restrizioni adottate rispetto all’Italia, il destino delle imprese definite «commerces non essentiels», dovendo quindi necessariamente serrare le porte in una stagione che si è rivelata insolitamente (ma non più straordinaria, a causa del cambiamento climatico) mite e soleggiata.

Un’imprevista circostanza che ha frenato la corsa di un mercato inizialmente pronosticato in crescita rispetto ad un 2019 senza infamia e senza lode, ma che ha presentato il 27 aprile, primo giorno di riapertura dopo la prima ondata, scene da “assalto alla diligenza” con code considerevoli già all’esterno degli accessi ai PdV, quasi a voler affermare che il commercio di settore viene percepito dal consumatore elvetico tutt’altro che “non essentiel”.

Un’esperienza, quest’ultima, vissuta in prima persona dal redattore di queste “cronache del DIY & Garden elvetico”, che in quei giorni si è ritrovato nelle insolite vesti del “passionate DIYer”. Se questo possa costituire o meno un contributo alle sorti del mercato commentato in queste righe non è dato saperlo, né può avere la pretesa di avere un qualche significato statistico.

Il netto segnale di ripresa del settore fatto segnare in primavera non deve essere passato inosservato. Una nuova serrata è stata finora scongiurata, nonostante sia in corso la seconda ondata pandemica. Anche le autorità delle zone più colpite come Ginevra, che hanno imposto norme più severe e restrittive nelle ultime settimane ai cittadini e alle imprese commerciali, hanno deciso di lasciare aperti i punti vendita del DIY&Garden.

La limitazione del numero di consumatori viene regolata con la norma che ha incrementato la superficie media per singolo acquirente dai 4 m2, previsti dalle misure postume alla prima ondata, ai 10 m2 attuali, ma non sembra scoraggiare in maniera significativa la frequentazione dei PdV. 

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