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BVA Doxa: quali gli effetti di Covid-19 sul business


BVA Doxa ha presentato un’indagine sugli effetti della diffusione del Coronavirus e delle relative misure per contenere il contagio sul business delle aziende italiane.

L’analisi ha preso in esame un campione di 301 aziende italiane di diversi settori e dimensioni, con presenza nazionale e internazionale. Le 301 aziende italiane sono al 48% Pmi e al 52% medie e grandi aziende, localizzate per il 54% in Lombardia, 22% nel resto del Nord Italia, 22% nel centro, 2% Sud e isole.

Per ciò che riguarda l’area di attività: 35% aziende solo italiane, 28% aziende italiane con sedi all’estero, 37% multinazionali straniere che operano in Italia. Per ciò invece che concerne il comparto: il 20% è rappresentato da aziende attive nella consulenza/ servizi alle imprese, 20% nella finanza/utilities/tlc, 18% nei beni di largo consumo/retail, 16% nel farmaceutico, 11% nei media/entertainment, 7% industria e 8% altro.

Incerto l’impatto sull’export

In un contesto di incertezza su quanto riguarda la durata dell’emergenza in corso, l’impatto della diffusione pandemica sul business si può descrivere come brusco e immediato: ben il 76% delle aziende intervistate infatti dichiara un impatto negativo fin dalla prima ora, mentre un’azienda su 5 prevede di riscontrare i primi effetti a partire da aprile. Effetti che 4 aziende su 5 reputano elevati e che colpiscono in ugual misura sia le aziende piccole, con meno di 50 dipendenti, che quelle grandi, con oltre mille dipendenti.

Per 2 aziende su 3 l’emergenza influirà negativamente sulla domanda dei prodotti e dei servizi a livello nazionale. Quasi la metà di esse (45%) ritiene che dovrà affrontare un calo del 10%. Più incerte rimangono invece le prospettive sulla domanda di prodotti e servizi sui mercati internazionali: il 34% non sa ancora esprimersi sui futuri scenari, anche se c’è già un 43% delle aziende che dichiara già di osservare ripercussioni negative anche sull’export. In generale, a esprimere maggiori preoccupazioni sono soprattutto i piccoli imprenditori: per il 77% delle Pmi si verificheranno importanti diminuzioni della domanda domestica, mentre per il 56% di quella oltre confine.

La metà delle aziende ridurrà gli investimenti in pubblicità

Per contrastare la crisi e preservare la sostenibilità economica, le aziende tricolore ridimensioneranno una parte significativa dei propri investimenti. A subire le riduzioni più importanti saranno in particolare gli investimenti in marketing e comunicazione: quasi la metà, il 49%, ridurrà le attività di advertising e media spending, mentre il 45% taglierà le attività di marketing.

Altre riduzioni significative toccheranno alle politiche di sviluppo commerciale, per il 39% delle aziende, al lancio di nuovi prodotti e servizi, per il 33% delle aziende, e alle attività di ricerca e sviluppo, per il 26% delle aziende. In un quadro complesso e particolarmente negativo, una percentuale comunque significativa di aziende va invece in controtendenza e dichiara che per reagire alla crisi aumenterà alcuni investimenti particolarmente strategici: un’azienda su quattro incrementerà le attività di marketing, mentre il 41% sfrutterà il momento per aumentare o mantenere la propria presenza mediatica.

Lo smart working funziona e continuerà

Costrette a dover attuare politiche di lavoro agile per rispettare le disposizioni governative e limitare il contagio, il 73% delle aziende tricolore ha introdotto lo smart working in maniera “massiva”, ovvero applicato al maggior numero di persone. Solo una minoranza non è invece riuscita (o non ha avuto la possibilità) di implementarlo in maniera altrettanto estesa: il 17% è riuscita ad attuarlo solo in maniera contenuta e circoscritta ad alcune aree/funzioni, mentre un’azienda su dieci lo applica marginalmente, ovvero in maniera riservata a specifiche figure.

Sono soprattutto le multinazionali straniere con sede in Italia ad aver attivato le politiche di lavoro agile con il 90% di esse già in smart working. La percentuale tuttavia cala se si osservano le aziende italiane con sedi estere e aziende solo italiane: delle prime, è il 67% ad aver attivato pienamente lo smart working; per quanto riguarda le seconde invece lo hanno messo in pratica solo tre aziende su cinque.

Va detto che le aziende italiane hanno scoperto che lo smart working funziona e bene. Il 90% esprime infatti un giudizio favorevole in termini di efficienza e gestione ottimale dell’attività lavorativa. Inoltre per due aziende su cinque – e in particolare quelle attive nei settori finance, utilities e telecomunicazioni – i cambiamenti organizzativi introdotti in questo periodo di emergenza saranno continuativi anche a pandemia finita. Una pratica che è stata dunque particolarmente apprezzata e che, malgrado le circostanze in cui è stata introdotta, è destinata durare nel tempo.

Infine per ciò che riguarda il futuro il 67% delle aziende esprime timori che la situazione avrà ripercussioni particolarmente consistenti per un lungo periodo di tempo. Un terzo delle aziende è invece più ottimista e ritiene che la crisi possa risolversi nell’arco di qualche mese.

Periodo dell’analisi: 9 – 16 marzo 2020
Metodo: CAWI



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