Costo delle materie prime: torniamo al magazzino
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Quali sono i driver che hanno determinato l’aumento impetuoso del costo delle materie prime? Rialzi che come nel caso del rame sono arrivati addirittura al 100%.
Gianclaudio Torlizzi (Founder e Managing Director T-Commodity) si è concentrato sulle evoluzioni dei prezzi delle materie prime maggiormente legate al settore del Diy. Con alcune indicazioni sugli andamenti futuri delle commodities.
Il boom dei consumi è la diretta derivazione degli stimoli fiscali e della politica monetaria messi in campo per compensare la recessione causata dai periodi di lockdown che hanno riguardato diversi Paesi. In realtà le voci relative a forti spinte speculative che hanno influenzato il mercato delle materie prime in questi mesi rivestono un ruolo marginale.
In altre parole non si tratta di un fenomeno che si sgonfierà nel giro di qualche mese. “Non ci si può attendere un’inversione dei prezzi delle materie prime e sperare di poter tornare ai livelli di prezzo pre-pandemici. Ci potranno essere certamente delle fasi di correzione, probabilmente con la fine dell’emergenza pandemica, ma un ritorno al passato è poco probabile”.
Il secondo elemento sono le politiche per contrastare il climate change. La transizione ecologica ha un costo molto pesante e lo stanno scoprendo le Pmi e le famiglie ora che si sta parlando di pesanti aumenti nelle prossime bollette di energia elettrica e gas.
Terzo elemento che alimenta i prezzi dei metalli è la richiesta degli azionisti delle aziende di estrazione di non investire. Dal 2010 al 2017 si è infatti verificata una discesa di investimenti. Ora i grandi azionisti preferiscono accedere agli aiuti di Stato e impongono al management di mantenere una bassa capacità in nuovi investimenti.
Cosa ha determinato questa spinta al rialzo? La Cina brucia il circa il 50% di alluminio e acciaio grazie anche alla forte ripartenza nel 2020, tanto da chiudere con un 2,3% del Pil, a differenza di Usa e UE. La Cina ha gestito in modo attento e molto diverso dal resto dei Paesi il lockdown, mettendo in atto chiusure veloci di interi quartieri o terminal. Questa “blindatura” ha così permesso alla Cina di riaprire prima rispetto agli altri beneficando dei tanti stimoli fiscali e monetari a livello mondiale e tornando a produrre in modo importante.
Altro attore che ha determinato un aumento repentino dei costi è rappresentato dagli Stati Uniti, che per la prima volta dagli anni 60 dello scorso secolo ha messo in campo molti stimoli monetari accompagnati da forti stimoli fiscali.
Questo nuovo corso di politica monetarie e fiscale ha provocato negli Usa una fase di deprezzamento e, visto che le materie prime sono acquistate in dollari, quando scende il dollaro il prezzo delle materie prime cresce.
“Da un punto di vista macro la Cina che riparte e la nuova politica fiscale e monetaria molto aggressiva degli Usa hanno dato una mano al rialzo dei costi”.
Dal punto di vista dei metalli pesa la decarbonizzazione. Sul lato dei consumi il forte sviluppo delle auto elettriche prevede fino al 2030 il raddoppio del consumo di rame, di alluminio, di nichel.
Altro elemento è legato all’offerta di carbone, in particolare la Cina, il maggiore produttore di emissioni di carbonio, si è impegnata da tempo a ridurre le emissioni e quindi a limitare l’uso del carbone. Tuttavia questa estate a causa delle siccità, la Cina ha dovuto compensare il calo di produzione di energia idroelettrica con l’acquisto di gas sui mercati internazionali facendolo mancare al resto del mondo. Da qui la prevista crescita delle bollette anche in Italia.
Il nodo dei noli marittimi
Il boom dei consumi va anche a ripercuotersi sulla gestione dei noli marittimi con una crescita del costo dei container.
Crescita dovuta, anche in questo caso, alle politiche molto severe di contenimento della pandemia attuate in Cina. Politiche che alcuni analisti considerato essere utilizzate in modo strategico per mettere in difficoltà i mercati internazionali. “Con la fine dell’emergenza pandemica potrebbero esserci dei miglioramenti, ma non ci conterei molto”. Torlizzi quindi invita i retailer a rivedere le proprie politiche di acquisto, adattandole alla cosiddetta new normality. “Se fino a ieri si ragionava in un’ottica di just in time acquistando la merce basandosi su esigenze immediate, ora è necessario guardare al passato e tornare a dinamiche di acquisti che pensavamo superate e ricominciare a fare magazzino”.
“Siamo in un clima di guerra fredda tra Cina e Usa, vedi l’ultimo affaire sui sommergibili venduti al governo australiano, e chi ha la materia prima ha un leverage importante da sfruttare. Per questo motivo le filiere saranno danneggiate in modo sempre più strutturale e le supply chain saranno sempre più frastagliate. Sarà importante quindi regionalizzare il parco fornitori il più possibile e ritornare a fare magazzino”.
Riguardo all’acciaio in particolare volevo ricordare che le politiche di salvaguardia europee che limitano fortemente l’import di acciaio da Paesi extra UE, e queste limitazioni si stanno traducendo in una congestione dei porti, vedi Ravenna e Marghera con tonnellate di acciaio bloccate perché le aziende hanno paura di pagare il dazio, che arriva anche al 25%. Si tratta di un’azione politica che considero riprovevole. Tuttavia pare che il Ministro del Mise, Giancarlo Giorgetti, abbia annunciato che l’Italia si adopererà per sospendere anche se in modo temporaneo, queste misure dando modo al mercato di respirare. In conclusione posso dire che lo scenario macroeconomico dei prossimi mesi appare piuttosto negativo a causa del rincaro dei prezzi dei materie prime. Da qui il rallentamento del mercato dell’auto e soprattutto il forte aumento delle bollette di famiglie e aziende”.
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