Centri commerciali chiusi, appello di associazioni, Coop e Conad
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Beni disponibili nei negozi in città, ma non nei centri commerciali: le restrizioni contraddittorie previste nel nuovo DCPM creano ostacoli immotivati ai consumatori e moltiplicano il rischio assembramenti.
Questa la posizione di ANCC-Coop, ANCD-Conad, CNCC – Consiglio Nazionale dei Centri Commerciali, Confimprese e Federdistribuzione, che esprimono preoccupazione per le implicazioni che le nuove limitazioni contenute nel Dpcm varato ieri avranno a carico dei punti vendita presenti nei centri commerciali.
Due sono i principali effetti negativi di questa misura: in primo luogo, la chiusura dei punti vendita non alimentari dei centri commerciali nei giorni festivi e pre-festivi del periodo natalizio è una grave limitazione al servizio dei cittadini, una misura contraddittoria rispetto all’obiettivo della prevenzione sanitaria, anche solo per l’inutile aggravamento degli assembramenti che si creeranno negli altri giorni e nei centri cittadini, oltre a creare un serio danno per migliaia di operatori.
Il secondo elemento è l’incertezza generata dalle interpretazioni restrittive delle attività di vendita dei supermercati e ipermercati nei centri commerciali con il divieto di vendere prodotti non alimentari presenti sugli scaffali, limitando l’accesso a beni di prima necessità quali assorbenti femminili, pannolini per bambini, carta igienica, prodotti per l’igiene personale o per la cura della casa.
I centri commerciali sono strutture sicure che applicano misure e controlli stringenti sin dalle prime fasi dell’emergenza e le Associazioni del commercio chiedono con urgenza un intervento di modifica delle norme contenute nel Dpcm, eliminando le limitazioni agli esercizi che operano nei centri commerciali. Un intervento che produrrebbe un vantaggio per i consumatori, per le imprese e per la salute pubblica, riducendo il rischio degli assembramenti.
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