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Censis: italiani sonnambuli e rassegnati. Ma avanti sui diritti

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Dispersi in “mille scie divergenti”, “sonnambuli”, “incapaci di fronte ai presagi cupi che riguardano il futuro prossimo”: ecco gli italiani secondo il 57° Rapporto Annuale del Censis sulla situazione sociale del Paese Italia.

Un Paese che apparentemente vive “in un sonno profondo del calcolo raziocinante che servirebbe per affrontare dinamiche strutturali dagli esiti funesti”, come si legge nell’indagine che non si limita a elencare i dati, ma li interpreta nelle loro implicazioni profonde.

“Alcuni processi economici e sociali largamente prevedibili nei loro effetti sono rimossi dall’agenda collettiva del Paese o comunque sottovalutati”. E il loro impatto “sarà dirompente per la tenuta del sistema”, ma, come sottolinea il Rapporto Censis, “l’insipienza davanti ai cupi presagi si traduce in una colpevole irresolutezza”.

La crisi demografica

Massimiliano Valerii, direttore generale Censis: “Dopo la società del rancore, del sovranismo psichico, della permeabilità alle teorie complottistiche, ora parliamo di una società che ha bisogno di trovare una nuova forza propulsiva nel proprio immaginario”.

Tra i presagi spesso trascurati va ricordata la crisi demografica, un problema che sta avendo e avrà forti ripercussioni in molti settori, a iniziare da quelli del lavoro e del welfare. Nel 2050, ovvero tra meno di 30 anni, scompariranno quasi 8 milioni di persone in età attiva, mentre saranno 4,5 milioni i residenti perduti, pari a Roma e Milano insieme. Una flessione iniziata nel 2014 senza essere compensata dal flusso migratorio. E quest’anno siamo arrivati al minimo storico della flessione delle nascite, mentre nel 2040 solo una coppia su 4 avrà figli.

Convinti di non contare

“Il sonnambulismo non è però da imputare solo a una classe politica spesso non all’altezza, ma agli stessi cittadini, il 56% dei quali considera di contare poco. L’80% è convinto che l’Italia sia un Paese in declino, cittadini con un forte senso di impotenza e di insicurezza, delusi dalla globalizzazione che non ha portato i frutti promessi”.

Da qui le tante fughe millenaristiche alle quali abbiamo assistito in questi anni post Covid. L’84% è impaurito dal clima impazzito, mentre il 74% è convinto che tutto ciò porterà flussi migratori impossibili da gestire. Intanto il deficit pubblico e le guerre suscitano allarmismo. “Se tutto è emergenza, niente lo è veramente. E in questo sentimento trovano terreno fertile paure amplificate, fughe millenaristiche, spasmi apocalittici, l’improbabile e il verosimile”.

Anche il welfare del futuro suscita grandi preoccupazioni negli italiani di oggi, con oltre il 70% che teme non ci saranno garanzie in futuro sulla pensione né sulla sanità pubblica.

Una direzione, pochi traguardi

Nelle tensioni e negli affanni di questi ultimi anni, la società italiana ha iniziato a vedere, con sempre più chiarezza, i contorni di una difficile congiuntura e i possibili punti di arrivo dei cambiamenti in corso. La pandemia, la crisi energetica e ambientale, le guerre in Europa o ai suoi confini, l’inflazione, i flussi migratori.

E ancora: l’affermarsi di modelli di sviluppo diversi da quello occidentale, l’aggravarsi dei rischi demografici e dei nuovi bisogni di tutela sociale hanno però messo a nudo i bisogni di medio periodo del nostro Paese.

La pacatezza di piccoli desideri

Ci si consola constatando che il nostro è il Paese delle mille meraviglie, se ammirato dall’alto delle lussuose terrazze cittadine, degli strapiombi sul mare, delle colline e delle cime più elevate. Meno però se si guarda dalle periferie.

“E allora lo spirito del tempo sembra essere all’insegna dei desideri minori. Ovvero aspirare a uno stile di vita che non cerchi più una rincorsa ai consumi estremi, ma la pacatezza di piccoli desideri. Che però non hanno la forza attrattiva smorzando il ciclo di crescita”, ha proseguito Massimiliano Valerii.

Il senso del lavoro

Il lavoro per il 62% degli italiani non è più al centro della vita. “Il che non significa il rifiuto del lavoro, ma un suo declassamento nella gerarchia delle cose considerate importanti. Vogliamo più momenti per noi stessi, per il tempo libero, gli hobby, gli interessi personali. Abbiamo sì alte percentuali di occupati, ma la produzione lamenta, nello stesso tempo, la mancanza di figure specializzate” ha proseguito il direttore generale Censis.

È il segno di un certo distacco rispetto al lavoro come fattore identitario della persona. Un punto di vista diverso rispetto al passato, più laico nei confronti di quella che era considerata la “religione del lavoro” che ha orientato scelte e comportamenti di tante persone nei decenni passati.

Il rimbalzo dell’economia, dopo le restrizioni del 2020, ha determinato, come ricordato da Valerii, un’espansione della base occupazionale, con una netta riduzione degli inattivi e delle persone in cerca di lavoro. Anche se dal 2022 il numero delle dimissioni volontarie ha superato il milione. Il tasso di ricollocazione, che indica il reimpiego entro tre mesi dalle dimissioni, è anche cresciuto, passando dal 63,2% del 2019 al 66,9% del 2022.

La motivazione principale che spinge le persone a cercare un nuovo lavoro è l’attesa di un guadagno maggiore (per il 36,2% degli occupati) e l’interesse per prospettive di carriera migliori (36,1%).

Sempre più vecchi e più soli

Riguardo ai diritti c’è stato un ritorno di attenzione. Il 74% degli italiani è favorevole all’eutanasia, la maggioranza è favorevole alle adozioni da parte delle coppie single e – ma in misura minore – delle coppie omogenitoriali, in netta controtendenza con quanto sostenuto dal Governo in carica. Crescono anche le percentuali di chi è favorevole allo ius culturae.

Problematico risulta il rapporto con le nuove generazioni. I 18-34enni sono solo il 10% della popolazione e le previsioni per il futuro sono ancora più negative. I giovani sono sempre più marginali. Per molti l’unica opzione è la fuga verso l’estero (5 milioni attualmente risiedono all’estero). E molti sono laureati.

Da qui ai prossimi anni saranno sempre più gli anziani e sempre più soli. Già nel 2040 le coppie con figli saranno solo il 30% del totale, mentre cresceranno le famiglie unipersonali. Crescerà la percentuale di persone malate croniche.

Ma a fronte di tutto ciò, dove sono le politiche per le famiglie, i giovani, la sicurezza collettiva, la fruizione di servizi digitali dell’amministrazione pubblica? Tutto si riduce a poco più di un’applicazione da scaricare sullo smartphone. Spesso di scarsa intelligenza e di modesto investimento. Mentre la tutela dell’educazione universitaria e della sua funzione sociale consiste in qualche vaga promessa di nuovi alloggi per studenti.

Le città diventano “porose”: da una parte attraversate ogni giorno da cittadini e turismi, dall’altra senza capacità di rigenerarsi, se non per investimenti sul decoro urbano o la piantumazione di qualche albero.
Di fronte a queste sfide complesse ci comportiamo come “sonnambuli”, insiste Valerii.

La società attuale, più che avviare un nuovo ciclo, sta sostituendo il modello di sviluppo sviluppato a partire dagli anni ’60 – caratterizzata dal lasciar fare, dalla soddisfazione dei bisogni essenziali, dal riconoscimento dei diritti collettivi – con un modello nuovo in cui sia assicurato il “lasciar essere”. In altre parole la possibilità – specie per le giovani generazioni – di interpretare lavoro, investimenti, socialità senza vincoli collettivi.

Un Paese che “trascina i piedi”

In conclusione Giorgio De Rita, segretario generale del Censis, ha riassunto i principali insight dell’indagine che ha riguardato un anno difficile da raccontare, pieno di difficoltà, che rimangono irrisolte.

L’Italia è sì un Paese meraviglioso e ricco, ma solo se visto dall’alto. Quando ti sposti verso le periferie ti accorgi delle sue tante arretratezze. Inflazione in calo, l’economia pare stare abbastanza bene, gli occupati crescono.

Tuttavia quello che abbiamo visto nella nostra indagine è un Paese che “trascina i piedi”, che guarda e aspetta, ma non si sa cosa. In questi anni abbiamo visto dei processi sociali, abbiamo risposto bene alle emergenze, basti guardare alla pandemia. Ma poi?

Oramai in Italia è diffusa la consapevolezza che dobbiamo crescere nei salari, nell’economia, nella demografia. Perché non possiamo accontentarci della resilienza. Eppure non sappiamo risolvere i problemi, non sappiamo dare risposte valide, che guardino al futuro. Abbiamo messo a riposo certe varianti collettive – Europa, diritti –, mentre invece il contesto internazionale richiede più prese di posizione sul modello di sviluppo della vita collettiva e sociale.

E poi c’è la mancata risposta della politica che ha offerto bonus per tutto. Ma si tratta di interventi che andavano bene durante o subito dopo la pandemia, ma non più. Ora serve un modello di sviluppo che non si basi più sull’arte di arrangiarsi.

L’impressione è che dovremmo convivere con un modello diverso, con una solitudine vista come dimensione personale e non solo di qualche altro (gli anziani, i malati, i migranti).

Nel lavoro sono i lavoratori che fanno la selezione di dove andare a lavorare. Dunque il senso del lavoro è cambiato e le aziende ne devono tenere conto.

E poi il risparmio, fino a ora elemento di rassicurazione. Oggi quella capacità di rassicurazione viene meno. Andrà trovato un mix diverso tra la rassicurazione e la capacità di investimento.

E infine vanno considerati di nuovo i giovani, guardando a loro come portatori di modelli diversi, necessari per il futuro.

Nella foto: da sx Giorgio De Rita, segretario generale Censis; Renato Brunetta, presidente CNEL, Massimiliano Valerii, direttore generale Censis

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