Chi non ha mai ricevuto da un amico o da un collega il link a un filmato spiritoso, inconsueto o decisamente interessante? A tutti è successo, è un fenomeno tipico di internet, soprattutto da quando la banda larga ha iniziato la sua diffusione tra le famiglie. Gli utenti di internet, che sono anche consumatori che frequentano e acquistano nei punti vendita tradizionali, hanno fatto della condivisione di informazioni, di emozioni e di immagini una consuetudine, per taluni addirittura quotidiana. E’ lo stesso approccio che ha portato allo straordinario successo di Facebook (oltre 10 milioni di utenti in Italia) e in generale dei social network. Per qualsiasi azienda entrare in questo circuito è determinante, l’assenza può essere molto penalizzante. Questo è quanto è emerso durante il CreatEvent, la giornata di lavori tenutasi a Verona lo scorso mese di ottobre, proprio sul tema del marketing non convenzionale.
Esistono manager, e non sono pochi, che ritengono che essere presenti in internet con il proprio sito aziendale sia sufficiente, non è così. Soprattutto nel settore del bricolage difficilmente gli utenti cercano la singola azienda specificandone il nome, assai più frequentemente ricercano informazioni e suggerimenti per la soluzione di un problema. Se devono verniciare un tavolo in legno, in Google digiteranno probabilmente “verniciare legno”, se hanno un problema con una porta che cigola digiteranno “cigolio porta”. In questo modo però non troveranno i siti delle aziende che propongono i prodotti utili alla soluzione richiesta, quanto meno nelle prime due pagine di ricerca di Google, troveranno invece portali di informazione tematica, come bricoliamo.com, forum, news group e siti con contenuti specialistici sul tema in questione. E’ un problema di indicizzazione legato ai contenuti e alla frequenza di aggiornamento del proprio sito, ma questo è un altro discorso. Il dato di fatto è che per un’azienda essere presente in internet non può significare semplicemente aprire un sito aziendale per quanto bello, animato e completo esso sia.
Contrariamente ai media tradizionali, in particolare la televisione, in internet il consumatore è attivo e non passivo: è lui che cerca le informazioni che gli interessano, non è lo spot pubblicitario a raggiungerlo mentre sta comodamente sul divano. Questo ha come conseguenza una straordinaria frammentazione delle richieste e delle modalità di utilizzo del mezzo. Sui 31 miliardi di query (parole o insiemi di parole digitate nella casella di ricerca di Google) registrate in Google al mese, il 25% risultano essere digitate per la prima volta e mai digitate prima. Allo stesso modo è interessante rilevare come, se nelle librerie tradizionali i primi 100 titoli sviluppano l’80% del giro d’affari, in Amazon, noto portale di e-commerce librario, i primi 100 titolo raggiungono a mala pena il 40% del fatturato totale.
Ecco perché si parla di marketing virale. E’ evidente che riuscire a costruire un messaggio virale veramente contagioso significa sia raggiungere un livello di visibilità straordinario (milioni di utenti con una permanenza nel tempo sostanzialmente infinita), ma anche, e forse soprattutto, diventare un riferimento per il mondo della rete. L’investimento necessario è sempre tendenzialmente basso, molto alto deve essere il livello di creatività del contenuto che si propone. Il ruolo centrale per il successo virale di una campagna è esclusivamente il contenuto, non è importante che sia di carattere testuale, fotografico o audiovisuale, può essere una o tutte e tre le cose insieme, l’importante è che ci sia un livello di coinvolgimento tale da stimolare gli utenti a scaricare, a fare proprio e a veicolare agli amici, ai parenti, ai colleghi il contenuto in questione.
Molti pensano che per essere virali è sufficiente confezionare un contenuto trasgressivo e giocato sui temi del sesso, della violenza o della messa in ridicolo di persone o situazioni. Non è così, lo ha spiegato molto bene Mirko Pallera parlando del Viral DNA, cioè la chimica del marketing virale, cioè l’ultimo modello di marketing. Per rispondere alla domanda “come progettare campagne di marketing virale veramente contagiose?” occorre partire da una serie di considerazioni che tengano conto del cambiamento che il consumatore italiano ha fatto negli ultimi anni, anche grazie a internet.
Oggi, lo vediamo anche negli allestimenti dei punti vendita, si sta passando da un rapporto fisico con il prodotto e il consumo a un rapporto sensoriale ed emozionale. La qualità del prodotto è una condizione scontata e quindi non basta più, non è un argomento sufficiente per decretare il successo di un prodotto o di una marca. La vera differenza viene fatta da ciò che il prodotto suscita, da quello che riesce a testimoniare. Comprare biologico significa testimoniare un proprio pensiero e un proprio stile di vita. Non comprare prodotti di aziende che sfruttano i bambini o il lavoro nero per contenere i prezzi è una modalità di denuncia sociale manifesta.
Si può quindi dire che oggi le persone utilizzano i brand per realizzare i propri progetti esistenziali ed è su questo concetto che si innesca il contagio e un messaggio diventa veramente virale. Ricordate le campagne di Oliviero Toscani per Benetton? Internet era quasi sconosciuto e i media utilizzati erano la stampa e le gigantesche affissioni. In quelle campagne di innegabile e straordinario successo Toscani precorreva i tempi e proponeva all’attenzione dei consumatori temi sociali di ampio respiro e grande attualità (il razzismo, l’aids, l’anoressia, ecc.). La marca era secondaria in termini di immagine sul manifesto, ma assumeva un ruolo fondamentale in quanto marca impegnata nel dire delle cose. Sostanzialmente Benetton in quegli anni, con le proprie campagne, faceva politica e questo essere un’identità e non solo un’immagine è stato ampiamente premiato dai consumatori.
Allo stesso modo, entrando nel mondo internet, la campagna virale che ha riscosso il maggiore successo nella rete è stata quella realizzata da Tim Piper della Ogilvy di Toronto per la Dove, nota azienda di prodotti di bellezza. Lo spot, diventato un video virale nella rete, ritrae una ragazza normale che dopo una seduta di trucco e un lavoro di ritocco con photoshop, diventa il volto bellissimo della ragazza di un manifesto pubblicitario. Il tutto è giocato su un montaggio molto serrato, che da ritmo allo spot tenendo alta l’attenzione su quanto succede. Anche in questo caso l’immagine della marca, comunque ovviamente presente, lascia posto ad un messaggio sociale che schiera l’azienda a favore della bellezza naturale (definita “autentica” dall’azienda) e contro lo stereotipo televisivo della donna magrissima, bellissima, sexissima e, in ultima analisi priva di personalità.
Provate ad andare su YouTube e cercate “Dove Evolution”, scoprirete che decine di milioni di persone hanno scaricato e visualizzato questo spot e alcune di queste ne hanno anche fatto delle parodie con video anch’essi di grande successo nella rete. Quest’ultimo aspetto è stato reso possibile grazie alla grande apertura di Dove nel rendere disponibili, scaricabili e pubblicabili i propri filmati.
Essere virali è quindi una questione di contenuto, significa identificare una tensione sociale e dargli voce. Solo dopo avere fatto questo tipo di analisi e di scelta, che è profondamente strategica per un brand, si passa alla fase creativa e quindi alla costruzione dell’emozione e del coinvolgimento.
Rispondi