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I fitosanitari alla resa dei conti


Già nel 2016 parlammo del problema della commercializzazione e uso hobbistico dei prodotti fitosanitari, indispensabili per curare e proteggere le piante, i fiori e gli ortaggi di quei 17 milioni di italiani che amano impiegare il proprio tempo libero nella cura del giardino e dell’orto.

Nel 2015, in novembre, entrò infatti in vigore il PAN, Pian d’Azione Nazionale, per la regolamentazione della vendita e dell’uso dei prodotti fitosanitari. Un piano che però poco chiariva rispetto alla classificazione dei prodotti adatti ad uso hobbistico e alla modalità della loro produzione, commercializzazione e uso. Per capire i contorni del provvedimento si doveva aspettare uno specifico decreto da parte del Ministero della Salute, corredato da un allegato tecnico che entrasse nel merito della questione con regole precise.

Tale decreto è stato emanato nel gennaio 2018 dal Ministero della Salute, di concerto con il Ministero per l’Ambiente e il Ministero dell’Agricoltura (dm 33/2018). Un decreto e un allegato tecnico che di fatto “decretano” la fine del mercato dei fitofarmaci ad uso hobbistico.

Da un’analisi di impatto condotta da Agrofarma Federchimica è risultato che su 365 prodotti analizzati, considerando i criteri di cut-off di classificazione delle sostanze e dei prodotti, sarebbero solamente 7 prodotti (tutti fitoregolatori) ad accedere alla fase di valutazione del rischio. Ciò significa i cut-off inseriti nell’allegato tecnico risultano essere talmente restrittivi da non ammettere per l’uso non professionale nemmeno i prodotti a base di micro-organismi, come il bacillus thuringiensis o il trichoderma, o a base di sostanze naturali ammesse nell’agricoltura biologica, compresi rame, zolfo e piretro. Da un’analisi condotta da Promogiardinaggio sulle principali normative europee, quella italiana risulta di gran lunga la più limitante.

E in questo quadro che le parti in causa hanno manifestato le loro preoccupazioni nell’ambito del convegno “2/5/2020: come cambia il mercato con il dm 33/2018” tenutosi nell’ambito della fiera Myplant & Garden, organizzato da Green Retail, web magazine specializzato nella comunicazione professionale per il mercato del verde.

Al convegno, moderato da Paolo Milani, direttore della rivista Green Line, erano presenti in qualità di relatori: Ugo Toppi di Promogiardinaggio (associazione di produttori e rivenditori per la promozione del verde in Italia), Alice Parasecolo di Agrofarma (associazione di Federchimica che raccoglie le aziende produttrici del settore), Edoardo Musarò di Compag (federazione nazionale dei commercianti di prodotti per l’agricoltura) ed Emanuele Morselli di AICG (associazione italiana centri giardinaggio).

Sulla base degli interventi che si sono susseguiti e delle preoccupate domande proposte dalla folta e attenta platea, si evince che ormai siamo alla resa dei conti. Il periodo transitorio previsto dal decreto per lo smaltimento e la riorganizzazione del comparto fitofarmaci per hobbisti è ormai in scadenza e il tempo a disposizione per cercare di convincere il Ministero ad apportare variazioni all’allegato tecnico del decreto in questione è ormai molto stretto: il 2 maggio di quest’anno le aziende dovranno interrompere la produzione di fitofarmaci destinati al mercato hobbistico e il 2 maggio del 2020 sarà definitivamente vietata la commercializzazione ai privati.

Agrofarma è particolarmente impegnata nel tentativo di spostare l’attenzione dal concetto di pericolo a quello di rischio. Il “pericolo” è ovviamente un concetto relativo, le case sono piene di potenziali pericoli, ciò non può comportare però il divieto di prodotti quali la candeggina, il martello, il tavolo d’epoca con gli spigoli vivi o quant’altro. Più corretto, come sostiene Agrofarma, è stabilire una scala di rischio per ciascuna tipologia di fitofarmaco, individuando così quelli che possono essere commercializzati liberamente e quelli che invece sono riservati ai professionisti muniti di patentino.

Per diminuire l’alea del rischio una proposta che è sembrata intelligente è quella di prevedere confezioni monodose, in modo che la quantità di prodotto minima garantisca un rischio minimo o assente.

Intervenire a monte stabilendo in maniera seria, e non “allarmistica”, quali sono i prodotti da inserire nel libero commercio e quali no sembrerebbe la soluzione più semplice e favorevole per i consumatori privati i quali potrebbero evitare, per curare le proprie piante, di ottenere un patentino, dopo aver frequentato 15/20 ore di corso (1 ora per 15/20 settimane in sedi spesso lontane da casa) e sostenuto un esame regionale.

La preoccupazione di Ugo Toppi, in quanto imprenditore di spicco nel mondo dei garden center italiani, è quella che il normale consumatore difficilmente troverà il tempo e la voglia di frequentare questi corsi per dotarsi di patentino e poter così acquistare quei prodotti per la protezione dei gerani sul balcone o degli ortaggi che coltiva nel suo piccolo orto, che fino ad ora poteva acquistare liberamente.

Per come è scritto il decreto, sostiene Toppi, l’offerta di fitofarmaci per i consumatori privati sparirà e gli hobbisti, che non avranno più la possibilità di curare le proprie piantine dagli attacchi degli afidi o di qualsiasi altro parassiti, cosa potranno fare se non rinunciare alla propria passione?

Il pericolo quindi non riguarda solo la cancellazione di un mercato, quello dei fitofarmaci ad uso hobbistico, che in Italia vale circa 50 milioni di euro, ma anche quell’importante indotto che parte dalla vendita delle piante fino a tutti i prodotti atti alla loro coltivazione (dai vasi, agli utensili, ecc.). Insomma, il problema economico che questo decreto porta con sé può essere davvero importante e forse addirittura allarmante, quanto meno per l’inevitabile perdita di posti di lavoro, che, in un momento di recessione, è una preoccupazione non da poco.

A fronte della volontà ancora battagliera dimostrata da Agrofarma e dai produttori del settore, che credono ancora nella possibilità di razionalizzare la produzione e la vendita dei fitofarmaci senza penalizzare i consumatori privati e l’intero mercato, abbiamo notato una certa rassegnazione nella categoria dei commercianti.

Sia Compag che AICG hanno infatti orientato la propria relazione verso possibilità e proposte per far ottenere il famoso patentino anche ai privati. Nel caso di Compag proponendo la frequentazione di un corso online (attualmente riconosciuto solo dalla Regione Emilia Romagna), mentre in quello di AICG la proposta verte su un corso più “snello” (5 ore) rispetto a quello dei professionisti organizzato direttamente all’interno dei garden center abitualmente frequentati dai consumatori privati.

Per quello che ci è consentito di capire però, la sensazione è che l’impegno verso la diffusione del patentino nel mondo dell’hobby possa essere interpretato come “ultima spiaggia”. Bisogna infatti considerare, al di là del tempo e della voglia che potrebbero avere o non avere i consumatori, che si sta parlando di un pubblico di 17 milioni di persone che dovrebbero essere formate tramite questi corsi ed esaminate dalle diverse Regioni prima del rilascio del patentino. Una mole di lavoro enorme in termini organizzativi che, per di più, non potrebbe avere la priorità rispetto all’organizzazione dei corsi e il rilascio di patentini ai professionisti: in questo momento su circa un milione di microimprese agricole meno della metà sono in regola con almeno un dipendente dotato di patentino.

Insomma la matassa è ancora molto intricata e i rischi che si possono correre se non si riesce ad arrivare al bandolo per districarla sono veramente importanti. Per quanto ci riguarda non possiamo far altro che tenervi informati.



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