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L’acquisto esperienziale al tempo di Covid-19


Quante pagine sono state scritte negli ultimi decenni sull’evoluzione del retail? Quante iniziative hanno visto le imprese della distribuzione cimentarsi con nuovi e più arditi layout per intercettare le mutevoli aspettative del consumatore?

Quanto hanno investito le aziende della produzione per valorizzare il loro brand, per fare in modo che emergesse nel panorama dell’offerta multimarca? E, ancora, quanto tempo è stato speso (meglio, investito) nelle negoziazioni tra retail e fornitore per trovare uno spazio, una giusta collocazione a questo o a quel corner “brandizzato”?

A questo si aggiungono le “iniezioni” di “One brand Shop in shop” tra le corsie di vendita a sostenere l’up-selling, a dare forma e sostanza allo “storytelling” di marchi impegnati ad offrire esperienze d’acquisto, che andassero “oltre” il mero valore del prodotto, trasformandolo in oggetto del desiderio.

Insomma, quali strumenti, tra questi appena enunciati ed altri ancora, sono stati messi al “servizio” dell’acquirente per offrire un’alternativa di “qualità” al crescente fenomeno delle vendite online?

Succede in Svizzera

No, tranquilli. Non è certo tra queste righe che il vostro modesto commentatore delle vicende di mercato elvetiche tenterà di dare risposte, che non potrebbero che essere fatalmente errate, a tutti questi quesiti.

Il fatto nuovo è però che il mercato non si trova più confrontato “solo” con le sue consuete dinamiche, ma deve ora “fare i conti” anche con “l’esperienza”, inattesa e certo assai poco gradita, di Covid-19.

E così una fetta assai sostanziosa del retail svizzero, già “provato” dalle restrizioni primaverili dello scorso anno, ma anche, almeno in parte, rinvigorito dalle performances di vendita alquanto lusinghiere dei mesi post-lockdown, si ritrova nuovamente esposta alle conseguenze delle nuove misure d’emergenza comunicate ai media e alla popolazione in due diverse circostanze, il 13.01 e il 27.01.21, dal Consiglio Federale di Berna.

A rendere più “drammatici” i toni e i contenuti delle comunicazioni hanno contribuito questa volta, come è stato sottolineato da tutti i media nazionali, e come non era accaduto dallo scoppio della pandemia, tre elementi fondamentali.

Infatti, accanto al consigliere federale Alain Berset, abituale interlocutore degli organi di informazione nel suo ruolo di ministro della salute, sono comparsi in sala stampa del Palazzo federale, tutti i consiglieri coinvolti, responsabili dei dicasteri di economia e finanza, nonché il rappresentante a Berna dei 26 cantoni che compongono la confederazione.

Inoltre, a presiedere la conferenza stampa si è presentato anche Guy Parmelin, al suo battesimo da Presidente della confederazione elvetica, avendo recentemente rilevato il ruolo dal presidente uscente, Simonetta Sommaruga, e lui come tutti gli altri consiglieri indossavano le mascherine ed occupavano le postazioni di rito, per l’occorrenza e per la prima volta divise da schermi di plexiglas.

Visto con le lenti del cittadino italiano, cui è divenuto familiare già dalla prima ondata questo tipo di scenario, si direbbe “nulla di nuovo sotto il sole”. L’approccio alle misure restrittive e di contenimento del contagio, a torto o a ragione assai più progressivo praticato in Svizzera nei mesi passati, è apparso invece a tutti in aperto contrasto con lo scenario che emergeva dal parterre della conferenza stampa, la cui trasmissione in presa diretta televisiva conferiva un tono di drammaticità, allo stesso tempo inedito e inquietante.

Dunque, anche solo osservando le modalità con cui i consiglieri si sono presentati agli organi di informazione, è apparso evidente fin da subito che un sostanzioso giro di vite alle misure di contenimento fosse stato condiviso all’interno della compagine che rappresenta l’organo esecutivo della Confederazione.

Com’era prevedibile, le restrizioni imposte ai “contatti fisici” (tanto per usare un’allocuzione che recepisce le raccomandazioni dell’Accademia della Crusca della lingua italiana, ovvero “distanziamento fisico”, da sostituire a quella più comunemente utilizzata di “distanziamento sociale”) e i nuovi provvedimenti in merito al “tracing” dei contagi, non hanno risparmiato il mondo del retail.

Il concetto di “commerce non esssentiel”, già mal digerito nei mesi passati, è così tornato prepotentemente d’attualità, con modalità che differiscono da quelle poste in essere nella prima ondata, generando un certo disappunto e anche qualche difficoltà di interpretazione, da parte degli addetti ai lavori e ancor di più da parte degli stessi consumatori.

L’alterna “fortuna” dei centri brico

La distribuzione che più ci riguarda da vicino, ovvero i centri del bricolage e del giardinaggio, ha seguito una parabola diversa dalle categorie appena citate, bollate come “non essentiel” lo scorso anno, con circa quaranta giorni di chiusura “forzata”, e questa volta considerate “meritevoli” di maggior attenzione, forse anche in ragione del “sovraffollamento” che i punti vendita avevano fatto registrare alla riapertura del 27 aprile.

Ciò nondimeno, il “rompicapo” che i direttori di filiali e i loro collaboratori dovevano affrontare, per soddisfare le condizioni imposte dal Consiglio federale, si è presentato subito in tutta la sua complessità. Basti solo citare il caso di uno dei big player nazionali del settore, la catena distributiva JUMBO, che annovera tra i suoi reparti di vendita più importanti anche quello delle due ruote.

Comprensivo di ricambi e accessori, nonché di mezzi di trasporto a trazione elettrica per utenti a bassa mobilità, il reparto della JUMBO propone sia le biciclette tradizionali che le E-Bikes, la cui domanda è cresciuta in maniera ragguardevole, garantendo una certa autonomia di mobilità e ridottissimi “contatti fisici”, ed occupa il posto di leader in cima alle statistiche di vendita elvetiche.  

Il trend di mercato così fortemente alimentato dalle preferenze degli utilizzatori non è bastato a garantirne la continuità e così JUMBO, come tutti gli altri operatori di settore, si è vista costretta a “transennare” gli spazi destinati al reparto, per garantire “omogeneità di trattamento” ed evitare episodi di “concorrenza sleale” nei confronti delle imprese specialistiche, costrette, loro malgrado, a dare il loro contributo alla campagna di contenimento dei contagi. 

Dunque, punti vendita accessibili al pubblico, sia pure garantendo l’applicazione scrupoloso delle norme sanitarie e il contingentamento del numero di acquirenti presenti contemporaneamente negli stores, ma layout stravolti, ove necessario shop in shop isolati dal contesto commerciale, interi reparti o addirittura solo porzioni di essi esclusi dai “percorsi” d’acquisto dei consumatori e opportunamente evidenziati dall’uso massiccio di nastri da cantiere.

Strategie di vendita da riadattare alle nuove condizioni, in fretta e furia, cura delle esposizioni di reparto relegata ai livelli di un tempo che fu, presentazioni “eye-catching” da ripensare e rimodellare, fosse anche solo per tentare di rendere meno sgradevole al consumatore la frequentazione del punto vendita, già “impedito” dall’inevitabile uso di mascherine e disinfettanti.

Volumi di vendita di reparto e complessivi da rivedere, con conseguente coinvolgimento dell’intera filiera, riconversione dell’esperienza di vendita con presenza fisica in proposte commerciali accattivanti e fruibili facilmente attraverso l’alternativa offerta dall’uso dei mezzi digitali, proposta puntuale e efficiente di servizi di compensazione, ovvero, tra gli altri, sviluppo della facility “Click & Collect”.

Eh già, Click & Collect, più che un semplice servizio è diventato una specie di “salvatore della patria dei consumatori”, la cui esperienza d’acquisto si è spesso trasformata di punto in bianco in vera e propria frustrazione, pur comprendendo le “nobili” finalità sanitarie e di pubblica utilità che l’hanno resa tale.

Come spiegare al potenziale cliente che si aggira “mascherato” tra gli scaffali, alla ricerca dei beni di prima necessità e di quelli che “lui e solo lui” o “lei e solo lei” in quel momento considera “essentiel”, che questi ultimi a giudizio dei membri del Consiglio federale non lo sono affatto?

Come convincerlo che a “sinistra” trova, pronta e immediatamente disponibile, la promozione del trapano, di cui in quel momento non sente assolutamente alcun bisogno, pur accattivante che fosse la proposta commerciale, e a “destra”, pur essendo “a portata di mano” e al suo posto sullo scaffale, a fare bella mostra di sé, l’aspirapolvere, che è ciò di cui ha veramente necessità, anche perché di questi tempi l’attenzione alle pulizie domestiche è vitale, “questi” appare pure lui “mascherato” e condannato a una sorta di lockdown dei prodotti.   

Come dire?

È il trionfo del “vorrei, ma non posso”, è l’inedita esperienza d’acquisto, frustrante, impotente, cui il potenziale utente è “condannato” e con cui nessuno degli addetti ai lavori avrebbe mai voluto cimentarsi, considerando già la ben più usuale rottura di stock come una vera e propria iattura.

È l’apoteosi del “vorrei tanto vendertelo, ma mi viene impedito”, salvo ricorrere a misure tampone, purché l’acquirente sia ben disposto ad armarsi di pazienza, di fare come si è solito dire “di necessità, virtù” e ricorrere, per esempio, al “salvatore della patria dei consumatori”, il nostro famoso “Click & Collect”.

Infatti, gli impedimenti dettati dalla necessità di evitare situazioni di concorrenza sleale tra imprese commerciali cui è stato consentito il prosieguo dell’attività, sia pure parziale, e quelle costrette alla serrata, non valgono per le vendite online.

Ed ecco che la catena della bicicletta, inaccessibile sul punto vendita, o “l’oggetto del bisogno represso”, il nostro famoso aspiratore, diventano nuovamente disponibili e reperibili nelle pagine del catalogo digitale, acquistabili con un semplice “Click” e resi pronti al ritiro, in ribalta, al servizio “Collect” dalla logistica del punto vendita.

Non certo una novità assoluta, in termini di servizio, ma sta di fatto che nell’era post-pandemia, speriamo al più presto, per ragioni di pubblica sanità mentale oltre che commerciali, dovremo tutti “far di conto” con determinati comportamenti d’acquisto, le cui curve di tendenza, talvolta con picchi raggiunti in brevissimo tempo e inimmaginabili nell’era pre-Covid-19,  la cui evoluzione e il cui adattamento alle nuove future situazioni, sperabilmente non di natura epidemiologica, sono vertiginosi e porranno alla distribuzione, di “tradizionale” o più evoluta concezione, nuove e sempre più inedite sfide.   



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