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Tra marketplace e retail al Virtual DIY Summit 2024

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Un momento fondamentale per ragionare sulle dinamiche del settore quello che si è tenuto il 27 settembre in occasione del Virtual DIY- Summit 2024.

Condotto da John W. Herbert, Co-Founder del Global DIY-Summit, l’evento digitale ha visto la partecipazione di numerosi esperti e professionisti che hanno potuto condividere con la platea numeri, tendenze ed idee su ciò che sta modellando e dando forma al settore del DIY.

Per iniziare ad addentrarsi nella materia, fondamentale è stato l’intervento di Alexander Börsch, Chief Economist & Head of Research di Deloitte che nel suo intervento si è focalizzato sulle prospettive e trend economici.

“Il 2024 da a livello puramente economico è sorprendentemente resiliente e la crescita mondiale, seppur non eccezionale, non sta performando negativamente” ha dichiarato Börsch. Esistono però alcuni punti fondamentali su cui è necessario fermarsi. Prima di tutto, la situazione economica non è uguale per ogni paese e se gli Usa sono piuttosto resilienti, l’economia cinese al contrario inizia a mostrare qualche crepa a causa del mercato immobiliare e dei consumi ridotti. L’eurozona, come avverte l’esperto, sta vivendo un anno instabile tra contrazioni economiche e incertezze.

Ma non è solo una questione di “geografia”. Esiste una profonda divergenza anche tra i settori: produzione e servizi stanno vivendo due fasi opposte. Se la prima è in costante crescita, la seconda soffre di stagnazione o addirittura recessione.

“Nell’eurozona, economie basate sui servizi come la Spagna, per esempio, stanno performando meglio di paesi basati sull’industria come la Germania” specifica Börsch.

Buone notizie invece sul fronte dell’inflazione, dopo il picco raggiunto nel 2022, la situazione si è normalizzata sia negli Stati Uniti sia in Europa. Ciò nonostante, l’approccio del consumatore continua ad essere cauto: la spesa è moderata ma resiliente grazie a un mercato del lavoro forte che in prospettiva porterà a redditi più alti in Europa e Stati Uniti ma anche un incoraggiamento verso più consumi, visto il calo dei tassi di interesse e a una minore tendenza verso il risparmio.

“Nel 2025 saranno i consumatori a guidare l’economia in Europa”, assicura Börsch. A livello mondiale, l’economia continuerà la sua attuale traiettoria di crescita (+3.2%): Europa, Australia, Giappone e Canada vivranno un’accelerazione nel 2025 mentre Cina e Usa subiranno un probabile arresto ( +1.6% per gli Stati Uniti) .

Come è noto, i cambiamenti geopolitici stanno impattando anche sul commercio e le supply chain, modificandone i modelli e portando alla creazione di nuovi hub commerciali.

Un esempio menzionato da Börsch  sono le tensioni commerciali tra Cina e Stati Uniti che hanno portato a una stagnazione del -0.4% e che di conseguenza hanno favorito la profilazione di un nuovo corridoio commerciale: sono cresciute le esportazioni cinesi in Vietnam e quelle vietnamite negli Stati Uniti. Tutto ciò però comporta supply chain più lunghe con possibili aumenti nei costi, seppur a livello geopolitico siano più resilienti.

Un ulteriore trend economico previsto da Deloitte è il cosiddetto fenomeno della re-globalization ovvero l’emergere di nuovi collegamenti e connessioni economiche/finanziarie dell’Europa con altri paesi come Giappone, Canada, Vietnam, Singapore, Usa, India e Indonesia (periodo 2016-2023). Nello stesso periodo si sono invece ridotte o contratte quelle con Cina, Corea del Sud, Messico, Turchia, Sudafrica, Colombia ed Egitto.

Molto più dei dati: il caso heyOBI

Con la sua nuova customer platform, heyOBI, OBI supporta i propri clienti non solo in negozio, ma anche a casa, collegando efficacemente il servizio clienti online con quello in store. Per diventare la destinazione numero uno per i clienti europei nel prendersi cura della propria casa e giardino.

L’azienda – come racconta Max Philip Backhaus, Head of CRM & heyOBI di OBI – ha lavorato su tre pilastri dell’ecosistema OBI: negozi fisici, presenza online e collaborazioni con partner.

“La fusione di digitale e fisico – specifica Backhaus – avviene anche perché stiamo vivendo una nuova normalità in cui esistono più canali per l’acquisto e l’esperienza del cliente non è più lineare tanto che in OBI abbiamo creato più touch point con il consumatore. Ciò ci ha richiesto di modificare il nostro modo di fare marketing e comunicazione diretta, abbandonando per esempio l’uso di volantini cartacei che non erano più sostenibili né utili a fini comunicativi. La modalità per far comunicare touch point fisico e digitale non poteva che essere heyOBI che grazie alle sue funzionalità è in grado di connettere clienti ed esperti ma anche strumenti di fidelizzazione e coupon, notifiche push, e-mail one-to-one”.

HeyOBI è effettivamente diventato lo strumento con cui l’azienda capisce e interagisce con la propria clientela in Germania e Austria: oltre 7 milioni di utenti di cui il 70% sono attivi sulla piattaforma ogni anno e con una media di 50 interazioni annuali. In questo modo è possibile avere un quadro più completo della propria clientela e poter lavorare con una mole di dati sempre più specifica e reale tra cui condizioni della casa, comportamento d’acquisto e interessi che concorrono a comprendere i diversi target.

Allo stesso tempo diventa più chiara l’attività del cliente nell’intero ecosistema ed è più facile sapere dove raggiungerlo e come tra i diversi touch point. “Oltre ai nove paesi europei in cui è presente – aggiunge Backhaus -, Obi mira all’internazionalizzazione attraverso tre azioni principali: estendere l’ecosistema OBI negli altri paesi, aumentare le vendite nei paesi attraverso l’activation toolbox e scalare e armonizzare la componente tech dell’azienda per rendere sempre più efficiente la relazione con i nostri clienti”.

Gli obiettivi futuri sono dunque di rilasciare heyOBI in tutti i paesi in cui sono presenti negozi fisici. Una sfida in cui si comprende come ormai l’esperienza online sia imprescindibile.

Come “fare marketplace” nel DIY?

Dopo la case history di Obi è arrivato anche il momento di riflettere sul perché i marketplace stanno avendo successo nel settore del DIY. A parlarne ci hanno pensato Ingrid Lommer, Co-Founder di Marketplace Universe, Valerie Dichtl, Co-Founder di Marketplace Universe, Ralph Hübner, Co-Founder di D2C Advisors, Payam Rahbari, Head of sales di plentysystems AG e Michael Maihaus, Vice President Product Partnering di OBI.

“Il cliente pretende un’esperienza e un’offerta sempre migliore in termini di disponibilità e varietà, con un servizio efficiente e rapido e la possibilità di cercare con facilità ciò di cui ha bisogno. Le aziende che vanno in questa direzione saranno sempre più rilevanti mentre chi continua a seguire uno schema più tradizionale e non ha una presenza online è destinata a diventare irrilevante nel panorama aziendale” afferma Payam Rahbari, Head of sales di plentysystems AG, quando gli viene chiesto il perché dell’importanza del marketplace.  Ad oggi infatti ancora tante aziende, non sanno cosa significhi e come funzioni questo trend di crescita dei marketplace.

“Il settore diy e garden è ancora indietro di almeno 5-6 anni sulle dinamiche del marketplace rispetto a settori come quello del fashion”, sottolinea Valerie Dichtl, Co-Founder di Marketplace Universe, aggiungendo che per poter addentrarsi in questo mondo l’azienda deve aver settato i propri obiettivi, avere una strategia e avere la capacità di diversificare.

Michael Maihaus, Vice President Product Partnering di OBI invece sottolinea che affinché il cliente possa rendere migliore la propria casa e il proprio giardino ha bisogno di poter contare su vasti assortimenti e il marketplace è un’opportunità perfetta per estendere l’offerta.

Anche Ralph Hübner, Co-Founder, di D2C Advisors è convinto che il marketplace sia “un’opportunità per offrire assortimento, possa aiutare anche ad abbattere barriere geografiche nei paesi in cui non si ha la forza vendita per vendere o non si ha l’infrastruttura necessaria, senza dimenticare che può essere un alleato nel creare collaborazioni con nuovi partner”.

Ma non solo, considerata la quantità di marketplace a disposizione, come scegliere quello giusto? Secondo Valerie Dichtl di Marketplace Universe: “Prima di tutto si devono avere degli obiettivi chiari: se si vuole avere più turnover o se l’obiettivo è aumentare la brand awareness. Un altro punto da valutare è il tipo di assortimento che si propone e come  si combina con il marketplace prescelto, se è presente nei paesi dove voglio espandere la mia attività e se anche i competitor lo utilizzano.  Allo stesso tempo si dovrà diversificare e lentamente conquistare un marketplace alla volta”.

A questo proposito, come possono i retailer cominciare da zero in un nuovo ecosistema che non si conosce? Payam Rahbari, Head of sales di plentysystems AG non ha dubbi: “Quando sei tra i primi ad approdare su un nuovo ambiente, sei in una posizione di forza e puoi mettere meglio in luce i tuoi prodotti, naturalmente grazie a una competizione inferiore. C’è sempre però un rischio calcolato: un marketplace è semplice da gestire se per esempio si presta attenzione ad alcuni elementi come la logistica, i requisiti dei prodotti, l’attenzione al cliente e le immagini”.

Sostenibilità, una responsabilità condivisa

Tra i topic sul futuro del settore non può mancare il cambiamento climatico e più in generale la sostenibilità a cui è stata dedicata la parte finale del Summit.

La domanda dunque sorge spontanea: che cosa può fare il settore del DIY per essere più sostenibile? La professoressa Katarzyna Kapustka, Tandem Professorships for Sustainability by wolfcraft and Koblenz University of Applied Sciences, ha introdotto il concetto di Scope 3 e come si relaziona con il settore del DIY.

Quando si parla di emissioni di CO2 dell’azienda normalmente si differenzia tra scope 1, 2 e 3. Scope 1 si riferisce alle emissioni dirette della stessa azienda, le 2 invece a quelle indirette che si generano dall’energia acquistata (elettricità, vapore per esempio). Le scope 3 infine corrispondono a beni, servizi acquistati, trasporti, investimenti e rifiuti ma anche l’uso del prodotto da parte del cliente finale.

In sintesi lo scope 3 corrisponde circa all’80% delle emissioni di CO2  di un’azienda. Ma cosa lo differenzia dalle scope 1 e 2? La complessità nel misurarlo.

Scope 1 e 2 infatti sono più facili da misurare e da “modificare”, per esempio nel caso dello scope 2 si può optare per macchine elettriche per la flotta aziendale. Come possiamo occuparci di ridurre le emissioni? “In primis è importante raccogliere i dati e conoscere la provenienza dei materiali che vengono coinvolti nella produzione di un singolo prodotto” afferma Kapustka.

Ma questa strada non è semplice da percorrere perché il fornitore potrebbe non essere a conoscenza di questa informazione o non riuscire a risalire alla fonte.

Un altro problema sono le lunghe supply chain che comportano innumerevoli stakeholder e fornitori e naturalmente problemi di comunicazione nel settore. Allo stesso tempo, come avverte l’esperta, esistono anche emissioni “nascoste” per la produzione di un semplice componente.

Qual è dunque la soluzione al problema? Una responsabilità condivisa. Ogni stakeholder lungo la supply chain deve agire per ridurre le emissioni ma anche gli stessi retailer, consumatori e governi. Tra i benefit dell’agire secondo una responsabilità condivisa come sottolinea Kapustka si riscontrano: “rispondere ai bisogni dei consumatori sempre più attenti alla tematica sostenibile, condividere know how con altre realtà e aziende e migliorare la reputazione del settore, tra gli altri”.



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