Rapporto Coop: siamo risparmiatori, con un’anima green
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Presentato l’11 settembre, il Rapporto Coop 2019 “Economia, consumi e stili di vita degli italiani di oggi” sottolinea le priorità dei cittadini con al primo posto disoccupazione e situazione economica, seguite da immigrazione e ambiente.
Un Paese poco ottimista
Secondo la ricerca Coop rimaniamo il popolo più pessimista d’Europa (almeno così la pensa 1 italiano su 2) anche per quanto riguarda i nostri figli e il meno ottimista sul futuro dell’Ue, anche se ciò non si traduce necessariamente in una idea di fuga, visto che all’”Italiaexit” ci pensa solo l’11/%. Un pessimismo dovuto a cause reali, visto che la prima metà dell’anno è improntata alla stagnazione economica e, nonostante la nascita di un nuovo Governo che ha cambiato repentinamente lo scenario, la variazione attesa del Pil a fine anno si attesterà a un “misero” +0,1%. I fattori di incertezza legati alle guerre commerciali in atto, al fenomeno deglobalization e a una politica monetaria che sembra aver esaurito le frecce al suo arco sono le minacce che colpiranno l’Europa e in particolare il nostro Paese. Siamo infatti l’unico tra i grandi (insieme a noi solo la Spagna che vanta ben altra vitalità economica) a non essere ancora riuscito a far risalire il reddito pro capite ai livelli pre crisi: un gap di ben 9 punti percentuali ancora nel primo trimestre 2019, mentre la media europea è sopra di oltre 3 punti (con la Germania che svetta di 13, la Francia di 7,3 e il Regno Unito di 5,4).
Si spende sempre meno
E non è un caso se già nel 2018 dopo 5 anni di aumenti seppur moderati si è assistito a un dietrofront della spesa media delle famiglie che segna sì un +0,3% a valori correnti, ma tenendo conto della dinamica inflazionistica in termini reali la contrazione è pari al -0,9% con ampi divari territoriali (10.000 euro annui separano i consumi mensili delle famiglie del Nord Ovest dalle famiglie delle isole e del sud con in testa i 3020 euro dei lombardi a fronte dei 1902 euro dei calabresi). Si arresta la spesa anche nell’alimentare dopo 3 anni positivi e si ferma quasi a 5 punti percentuali sotto i livelli pre-crisi.
Prudenti e guardinghi, gli italiani non solo indirizzano le loro principali voci di spesa a beni di prima necessità e servizi (il 64% dichiara di “spendere solo per il necessario”), ma hanno allentato gli investimenti finanziari privilegiando i depositi bancari e alimentando le loro riserve di liquidità.
Sul fronte del lavoro, poi, se è vero che le previsioni sull’occupazione continuano a essere seppur minimamente positive (tasso di disoccupazione che nel 2018 era 10,6% nel 2019 e nel 2020 si prevede al 10,2%) sta di fatto che oggi è la qualità del lavoro a generare più frustrazioni. Lavoriamo quantitativamente come negli altri Paesi mediterranei e dell’Est europeo, ma sensibilmente di più del Nord Europa, guadagniamo però decisamente meno di tutti e deteniamo il primato negativo di produttività del lavoro.
Un’insicurezza percepita
Frustrati dal lavoro e dalle difficoltà economiche, ma condizionati anche da un’agenda mediatica tutta indirizzata ai fatti di cronaca gli italiani si sentono insicuri e desiderosi di nuove rassicurazioni. Anche se i reati sono in calo e comunque ampiamente inferiori alla media europea, solo il 19% (33% di europei) è pienamente convinto di vivere in un posto sicuro, E da questa inquietudine derivano comportamenti conseguenti. Basti pensare che in 18 anni sono cresciuti di oltre il 20% i sistemi di allarme nelle abitazioni, nel 2018 sono +50% su Google le ricerche da parte degli italiani di “armi per difesa personale”, con le licenze per porto d’armi cresciute nello stesso arco di tempo di un 13,8%.
Soffia su questo fuoco la incapacità di gestire il fenomeno immigrazione e l’integrazione completamente mancata nel nostro Paese. Anche qui la percezione è ben differente dalla realtà; gli immigrati stabili sono oggi 5 milioni e rappresentano l’8,5% della popolazione, circa uno straniero ogni 11 italiani, ma la percezione della loro presenza è pari a 3 volte il dato reale.
Debuttano “perennials” e “generazione Greta”
Malgrado queste difficoltà però un italiano su 2 non esita ad autocollocarsi nel ceto medio -la quota più alta d’Europa con un differenziale di 5 punti percentuali nei confronti della Germania e di ben 13 rispetto alla Francia -, anche se poi paradossalmente è questo un ceto medio in cui più della metà (52%) lamenta difficoltà a arrivare a fine mese, il 25% è più infelice dei suoi pari grado europei ed è poco convinto di poter migliorare la propria vita se non facendo leva su fattori indipendenti dalla propria volontà come nascere in una famiglia benestante, avere buone conoscenze acquisite o addirittura affidandosi alla fortuna.
Emergono anche nuovi soggetti sociali come i “perennials” e la “generazione Greta”: i primi sono i nuovi italiani “senza età” che superati i 40 anni non si rassegnano al passare del tempo e si reinventano ogni giorno nel corpo e nello spirito; la generazione Greta comprende invece quei giovani (agli antipodi rispetto ai Neet) più consapevoli dei rischi climatici e votati alla salvaguardia dell’ambiente, comunque sensibili e consapevoli delle difficoltà del mercato del lavoro ma non rassegnati.
Più attenzione all’ambiente
I tre gradi più alti di temperatura previsti entro fine secolo portano con sé una perdita di 23 punti percentuali del Pil pro capite, una marcata concentrazione di ricchezza a favore di alcuni Paesi (del Nord) a scapito di altri (quelli dell’emisfero Sud) con la stima in 143 milioni solo di profughi “ambientali”, che entro il 2050 dall’Africa, dall’Asia e dall’America Latina si dirigeranno verso Nord.
In questo scenario l’Italia è tra i 5 Paesi più vulnerabili d’Europa e il cambiamento climatico ha già generato effetti importanti. Ad esempio negli ultimi 15 anni sono spariti 1 su 3 alberi da frutto, 500 ettari tra Sicilia e Calabria sono già oggi destinati alla coltivazione di frutta esotica, mentre le temperature che si innalzano hanno fatto aumentare la concentrazione di mercurio nei pesci. Evidenze che filtrano nella coscienza collettiva degli italiani e fanno breccia nei loro comportamenti di vita e di consumo: il 55% sogna un’abitazione eco-sostenibile, si acquistano sempre più spesso vestiti (13% oggi e 28% in futuro) e automobili verdi (+30% la vendita di auto ibride e +148% quella di auto elettriche), una donna su 4 sceglie cosmetici green, mentre nel 2018 sono stati oltre 13.000 i prodotti lanciati nel settore con claim legati alla sostenibilità, pari a un +14,3% vs 2017. Sia esso pragmatismo o adesione a un’ideale di vita, tutte le voci di spesa associate in vario modo alla sostenibilità crescono.
Tutti i prodotti che hanno una certificazione associata al tema registrano nei primi sei mesi dell’anno una variazione positiva; è il caso dell’UTZ +21,5%, del Friend of the Sea +2,8%, del bio che continua la sua inarrestabile e conclamata ascesa +4,6% e persistono atteggiamenti quotidiani responsabili. Così l’88% dei nostri connazionali fa la raccolta differenziata in modo meticoloso e il 77% utilizza elettrodomestici a basso consumo energetico. Avere un brand legato alla sostenibilità è in questo momento riconosciuto dai consumatori italiani come un valore aggiunto insieme a pochi altri criteri di riferimento condivisi. La sostenibilità è una componente fondamentale della reputazione d’impresa, in un contesto dove langue la fedeltà e la voglia di cambiamento regna sovrana se è vero che 9 italiani su 10 ammettono di tradire nel carrello della spesa e l’87% abbandona sempre più spesso i programmi di fidelizzazione proposti.
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