Le conseguenze dei dazi reciproci annunciati nel Liberation Day
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Al netto delle quotidiane novità riservate al mondo dal Presidente Trump in tema di dazi, si può tentare di fare il punto della situazione.
Il 2 aprile 2025, durante quello che Trump ha definito il Liberation Day, sono stati introdotti i cosiddetti dazi “reciproci”. Tranne che per i prodotti cinesi su cui è stata posta un’aliquota del 130%, Trump ha previsto un dazio minimo universale del 10%.
Inizialmente, gli Stati Uniti avevano previsto dazi mirati verso oltre 50 Paesi con i maggiori disavanzi commerciali ma è stata successivamente annunciata una sospensione di 90 giorni per tutti tranne per la Cina.
Questi Paesi vedranno dunque un aumento di +10 punti percentuali, mentre, la Cina dovrà affrontare un incremento a tre cifre. Considerando le esclusioni settoriali previste nell’Executive Order (come semiconduttori, farmaceutici, rame e minerali), il dazio effettivo medio applicato alla Cina è ora del 130%, mentre per l’Unione Europea si attesta al 9%.
Nel complesso, il tasso medio dei dazi statunitensi sulle importazioni globali ha raggiunto il 25,5%, il livello più alto dai primi anni del Novecento. Si ipotizza che eventuali accordi bilaterali possano ridurre questo tasso al 10,2% entro il quarto trimestre del 2025.
Rallentamento della crescita mondiale
A fronte di questa guerra commerciale innescata dagli Stati Uniti, Allianz Trade, importante società di assicurazione del credito, ha previsto che la crescita del PIL globale rallenterà nel 2025 al +2,3%, il livello più basso dalla pandemia, evidenziando che l’attuale livello di incertezza globale è paragonabile proprio a quello vissuto durante il Covid-19.
Negli Stati Uniti ci si aspetta una lieve recessione tra il primo e il terzo trimestre del 2025 (-0,5% cumulativo), con una crescita annuale contenuta allo +0,8%. Le cause principali sono: dazi più elevati, tensioni commerciali e ritorsioni da parte della Cina.
Anche l’Europa risentirà del rallentamento statunitense e delle restrizioni commerciali, nonostante lo stimolo fiscale tedesco e l’aumento delle spese per la Difesa. Le previsioni di crescita sono state riviste al ribasso a +0,8% nel 2025 e +1,5% nel 2026. Le famiglie, sempre più preoccupate, tenderanno ad aumentare il risparmio precauzionale, penalizzando ulteriormente i consumi.
I settori più colpiti
Secondo le ultime analisi i comparti più esposti a questi rischi sono l’automotive, il tessile, il commercio non alimentare, l’agricoltura e le energie rinnovabili.
Negli Stati Uniti, il settore automobilistico sta affrontando un’impennata dei costi a causa dei dazi su veicoli e sui componenti importati, con ricadute sui prezzi finali al consumatore.
Il comparto tessile si trova ad affrontare margini ridotti e una minore competitività per via dell’aumento dei costi delle materie prime importate.
Il commercio non alimentare, in particolare le piccole imprese dipendenti da prodotti di consumo importati come elettronica, mobili e abbigliamento importati, deve scegliere se assorbire i maggiori costi o trasferirli al consumatore, rischiando un calo delle vendite.
L’agricoltura statunitense è doppiamente colpita: da un lato, le contromisure tariffarie degli altri Paesi che penalizzano le esportazioni; dall’altro, le restrizioni sull’immigrazione che fanno salire i costi del lavoro.
Anche le energie rinnovabili soffrono per l’aumento dei prezzi delle attrezzature importate, mettendo a rischio la realizzazione di nuovi progetti.
In Europa, il settore chimico è tra i più colpiti, sia per la diminuzione della domanda da parte del mercato statunitense, sia per la concorrenza crescente di produttori extraeuropei in cerca di nuovi sbocchi commerciali.
Frontloading, diversificazione, negoziazione e riduzione dei prezzi di vendita
Per fronteggiare l’incertezza, le imprese statunitensi stanno adottando diverse strategie a breve termine.
Una delle principali è il frontloading, ovvero l’anticipare le importazioni prima dell’introduzione dei dazi. Settori come il retail e l’elettronica di consumo hanno registrato aumenti significativi delle scorte.
Tuttavia, questa strategia comporta il rischio di sovra stoccaggio, qualora la domanda non dovesse mantenersi elevata.
Le imprese stanno anche diversificando le catene di fornitura, spostando la produzione dalla Cina verso il Sud-est asiatico, il Messico e gli stessi Stati Uniti. Questa mossa riduce l’esposizione ai dazi ma solleva dubbi sulla sostenibilità della redditività nel lungo periodo.
Altre misure adottate includono la negoziazione di prezzi più bassi con i fornitori e, nei casi di margini sufficientemente ampi, la riduzione dei prezzi di vendita, per mantenere la competitività sul mercato.
Previsioni e rischi di insolvenze nel 2025
Alla luce di queste sfide, Allianz Trade prevede un aumento delle insolvenze aziendali globali del +7% nel 2025, una tendenza che proseguirà nel 2026 (+5%, rispetto al +3% atteso prima delle recenti evoluzioni politiche).
Negli Stati Uniti, l’impatto sarà particolarmente marcato: le insolvenze cresceranno del +16% nel 2025 (rispetto all’11% atteso in precedenza) e del +6% nel 2026.
In Europa occidentale si prevede un aumento più contenuto: +5% nel 2025 (contro il +3% precedente), mentre, il 2026 dovrebbe registrare un lieve calo (-2%).
In Cina, le insolvenze cresceranno del +7,5% nel 2025, con un ulteriore aumento del +10% nel 2026.
Per l’Asia (esclusa la Cina), le stime indicano un aumento dell’1% nel 2025 e una riduzione del -3% nel 2026.

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