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Il bricolage, gli italiani e il cambiamento sociale

Incontrare Gianni Bientinesi, direttore business intelligence di Leroy Merlin Italia, è sempre interessante. Lui è l’uomo dei numeri, la persona alla quale fanno capo tutte le indagini, i sondaggi e le ricerche che l’insegna realizza, per conoscere meglio il proprio mercato e il cliente di riferimento. Non solo, da tre anni, e il prossimo sarà il quarto, si è fatto promotore de L’Osservatorio sulla Casa – iniziativa che comprende un’indagine Doxa sulle tendenze dell’abitare, un concorso aperto a studenti di architettura e ingegneria e un’iniziativa di carattere sociale – che raccoglie consensi crescenti.

Partiamo dall’Osservatorio. Sulla scorta dei risultati di questa edizione, quali sono i presupposti per la prossima?
I risultati sono stati sorprendenti, soprattutto in termini di visibilità e interesse, sia da parte degli studenti, ma anche dei media, con una copertura di testate on line e off line, davvero importante.

Quali gli “ingredienti” che suscitano questo interesse?
Si parla di casa e, è un argomento di interesse generale. Ma al di là di questo, credo che il merito sia anche dovuto al fatto che non è uno strumento di comunicazione tout cour, ma è un progetto allargato, un impegno rivolto alle nuove generazioni. Ben inteso, non è una novità assoluta, ma mettere insieme un ricerca sulle tendenze dell’abitare, l’Università con i giovani e l’aspetto sociale, sono elementi di interesse comune.

La prossima sarà la 4° edizione. Ma come è stato all’inizio. Chi l’ha capito per primo? I ragazzi o i docenti?
Secondo me i ragazzi. C’è subito stata una risposta pronta e molto ha fatto il passa parola dei social. Li abbiamo intervistati per capire i motivi della loro partecipazione e la maggior parte ha dichiarato che il progetto è stimolante e, soprattutto, concreto. Questo elemento dà loro la voglia di misurarsi con quello che dovrebbe essere il loro futuro lavoro. E poi, il fatto che fosse anche un progetto sociale ha ulteriormente stimolato l’interesse.

Qual è stato l’incremento delle adesioni dalla prima edizione?
La prima volta che abbiamo lanciato il contest abbiamo avuto un’adesione tiepida, ma ero rimasto colpito dalla qualità dei progetti, che dimostravano un impegno notevole sia in termini di presentazione sia di progettualità. Basti pensare che il vincitore della prima edizione ne ha fatto la propria tesi di laurea e, successivamente, è andato a lavorare a Londra, con un buon ritorno d’immagine. In questa ultima edizione c’è stata, oltre alla qualità, anche la quantità, con Università che si sono mosse in autonomia e hanno attivato corsi di specializzazione, come, ad esempio, l’Università di Brescia, che ha utilizzato il contest per creare un workshop internazionale e il Politecnico di Milano. Sono convinto che ci sia ancora un notevole potenziale da sviluppare e che, trovate le leve giuste, il progetto può dare più di quanto pensiamo.

L’Osservatorio, la prossima edizione

Cosa ci riserva la prossima edizione?
Gli ingredienti di base rimangono gli stessi, quello che cambia, evidentemente, è l’oggetto del contest che, questa volta, sarà a Genova. Abbiamo già scelto l’associazione che ci supporterà. Si tratta de “La Band degli Orsi”, una onlus che occupa di accogliere e aiutare le famiglie che hanno un figlio ricoverato all’Ospedale Pediatrico Giannina Gaslini.

Concretamente su cosa lavorerà il contest?
L’associazione dispone di alcune strutture di accoglienza per le famiglie e l’assistenza diurna. Lavoreremo su un immobile in disuso, di grandi dimensioni, dato in gestione dal Comune di Genova. L’obiettivo è ambizioso poiché si tratta di una ristrutturazione completa e il brief che ci è stato dato è quello di porre l’accento sugli spazi comuni, per dare la possibilità alle famiglie di incontrarsi, condividere e sentirsi meno solo in una situazione difficile. E’ un bel progetto, inoltre, la novità assoluta è che al vincitore sarà offerto uno stage per seguire i lavori.

A fianco realizzerete ancora la ricerca Doxa….
La ricerca è sempre il punto di partenza. La difficoltà sta nell’arricchire, ogni anno, il patrimonio informativo piuttosto che replicarlo. Ormai abbiamo dei tasselli importanti su come sono composte le stanze delle case degli italiani, ma è necessario andare in profondità su certi temi, come ad esempio quello dell’efficienza e dell’accessibilità. Accessibilità in senso generale, anche economica. Quest’ultimo elemento rispecchia appieno lo spirito aziendale, che vuole rendere accessibili soluzioni abitative (strutturali o di completamento) che diversamente non lo sarebbero. Un aspetto, quest’ultimo, che ritengo debba essere parte dei compiti della grande distribuzione.

Gianni Bientinesi, l’uomo dei numeri

Considerando tutti i dati raccolti begli anni, procediamo ad una sintesi. Come è cambiato l’approccio degli italiani nei confronti del bricolage e della propria casa?
Partirei da un altro punto di vista. Sono entrato nel mercato del bricolage, da un’esperienza lavorativa completamente diversa, come ricercatore. I miei precedenti lavorativi erano stati TNS Infratest, Ipsos, Nielsen e nel Comitato Scientifico di Audipress. Il mio primo giorno di lavoro in Castorama, il 1° agosto 2007, è stato l’inizio di un percorso totalmente nuovo, in un mondo che, all’epoca, investiva pochissimo in comunicazione e non sapeva bene che caratteristiche avesse il consumatore di riferimento. O meglio delle idee le aveva, però…

Però?
Si facevano indagini, anche fatte bene ma con limiti dati dalle risorse, dall’organizzazione, dalla struttura, e non è stato facile introdurre il concetto dell’analisi, dei dati, dei numeri, del metodo scientifico. Molti presupposti erano basati su convinzioni del tutto personali. Un esempio? La prima ricerca che feci. All’epoca tutti erano convinti che i clienti dei punti vendita Castorama fossero tutti maschi, ma nella mia prima analisi, fatta coinvolgendo un istituto di ricerca, con un piano di campionamento preciso, emerse che, in realtà, le donne avevano un ruolo importante. Successivamente un’indagine telefonica confermò il risultato; un risultato in contrasto con il vissuto aziendale. Tuttavia, alla fine, capimmo che se era vero che nel negozio c’era fisicamente una presenza prevalentemente maschile, nei processi d’acquisto la donna era determinante, soprattutto su certi tipi di prodotto. E questo cambiò il paradigma, in termini di comunicazione, di offerta, di proposizione, di pedagogia, di servizi.

Un altro aspetto di grande rilevanza?
Indubbiamente il servizio. Organizzai un mistery client dando l’incarico, ai partecipanti, di acquistare merce nei nostri negozi. In quel caso emerse chiaramente che, in talune situazioni, non c’era l’approccio giusto nei confronti del cliente, con differenze talmente marcate che lì ho capito lo straordinario potenziale di questo mercato; un potenziale del quale, noi tutti operatori del settore, non abbiamo l’idea precisa. Tutti l’abbiamo stimato ma, di sicuro, ci sono tutta una serie di aspetti, legati alla relazione con i nostri clienti, che talvolta vengono sottovalutati.

Ad esempio?
Fare le domande giuste e cambiare mentalità. Uscire, per davvero, dal concetto di grande distribuzione di prodotti per diventare un grande distributore di servizi. E’ vero, il bricolage ha il vantaggio di avere prodotti che vanno vissuti, toccati, visti dal vivo e l’e-commerce puro funziona ancora poco ma, oggi, è impensabile aprire un punto vendita di bricolage senza offrire servizi. E’ necessario trovare un modo più intelligente per sfruttare la tecnologia, perché ci sono ancora tanti prodotti di cui il consumatore non è a conoscenza. Il ruolo del negozio è cambiato, mentre prima il cliente si aspettava un posto dove acquistare prodotti, oggi, sempre di più, si va in un negozio di bricolage per acquistare soluzioni, poi qual è il prodotto importa poco, ma io cliente ho un bisogno, legato all’emergenza o, più semplicemente legato al desiderio di cambiare un stanza nella mia casa.

Bricolage sì o no?

Molto spesso i produttori, ieri, come oggi, hanno la convinzione che nel nostro Paese il bricolage non si diffonda perché gli italiani hanno poca attitudine e preferiscono andare al mare. Che pensa al riguardo?
Se guardo i numeri posso tranquillamente affermare che non è vero. Gli italiani sono quelli che sono andati in giro per il mondo a costruire e, quindi, dire che gli italiani non amano il fai da te è scorretto.

E allora? Perché questo gap rispetto a Paesi come Francia o Germania?
Ci sono altri temi a determinare una minore diffusione della pratica del bricolage rispetto al altri Paesi europei. Ad esempio, il fatto che la densità abitativa in Italia sia tripla rispetto a quella francese e che determina il fatto che che viviamo più frequentemente in condominio, in appartamenti, e questo è, già di per sé, un limite strutturale. Ma non dimentichiamo che gli italiani ci tengono molto alla casa e sono per la maggior parte proprietari. Ciò significa che, anche solamente la propensione a mantenere il proprio patrimonio immobiliare, è un po’ più alta rispetto ad altri popoli. Dai dati che abbiamo, anche a livello internazionale, risulta che siamo simili agli spagnoli, e se è vero che risulta esserci un po’ più di predisposizione nei francesi, è altrettanto vero che il divario non è assolutamente così ampio come i più immaginano.

Quindi l’Italia è un Paese per bricoleur?
Il nostro è un mercato che vale 28 miliardi di euro, una cifra di tutto rispetto, e dire che non c’è mercato mi sembra davvero esagerato. Personalmente credo che il concetto vada ribaltato: non è la pratica del fai da te a non essere attrattiva, ma probabilmente è l’offerta a non essere del tutto adeguata. Pensiamo ad un altro comparto: a chi piaceva montare una tenda fino a ieri? Sfido chiunque. Poi arriva Decathlon e rivoluziona il concetto. Questo, per dire che dipende molto dall’offerta e, soprattutto, dal beneficio che, io consumatore, ne ricavo. Personalmente sono convinto che se i prodotti fossero più semplici, l’italiano, risparmiando sull’installazione, sceglierebbe anche prodotti di maggiore qualità, che spesso offrono soluzioni di installazione più semplici e rese migliori. L’esempio del parquet è indicativo. Quando ha avuto inizio la sua vera e propria diffusione? Quando abbiamo trovato la soluzione per montarlo più facilmente. Se installare una porta è facile, perché devo chiamare l’artigiano? A tal proposito, un altro esempio. Abbiamo realizzato un training tra il personale interno chiedendo di votare i prodotti ritenuti migliori. Chi ha vinto? Una zanzariera magnetica, il cui plus era la semplicità nel montaggio. Certamente, se devo prendere giorni di ferie per montare una zanzariera, allora sì che vado al mare. Quindi, anziché preoccuparsi degli italiani che non fanno bricolage, rendiamo i prodotti più accessibili.

Ma le aziende l’hanno capito?
Secondo me ancora no. Mi rendo conto, è difficile, vuol dire cambiare tutta la filiera, l’approccio, la mentalità, tenendo conto che in Italia ci sono case molto diverse tra loro, però, al di là di questo, credo che se un’attività la rendi accessibile e rendi facile la scelta, alla fine la gente compra e fa. E magari, può essere interessante mettersi insieme alle persone per fargli vedere come si fa; questo è un concetto interessante, che in azienda stiamo sviluppando, perché il ruolo della distribuzione è anche quello di far capire che il fai da te è piacevole, dà soddisfazione, non solo personale, ma anche economica, e consente anche una sorta di emancipazione sociale.

A volte però ci si mette anche la burocrazia…
Vero. Leroy Merlin ha come claim “Voglia di fare casa” ma in realtà non c’è la sufficiente libertà per soddisfare questa “voglia” senza necessariamente doverti rivolgerti a terzi. Le normative, la burocrazia, la difficoltà di posa, insomma si fa di tutto per complicare la vita alle persone. In questo caso, sì che in Francia è molto diverso.

Marca, target, posizionamento e cambiamento sociale

E gli italiani come hanno cambiato i loro acquisti?
Da quello che abbiamo visto, negli anni, con 65 mila interviste l’anno, uno degli aspetti che è molto cambiato è l’elemento qualitativo dei prodotti, se prima era importante, ma non prioritario, oggi il cliente se lo aspetta e chiede uno sforzo in più in termini di tecnologia e durabilità nel tempo. Questo processo ha avuto un’accelerazione soprattutto negli ultimi 3 anni. Secondariamente c’è il prezzo, ma non è mai slegato alla qualità. Spesso si dice che il cliente vuole spendere poco, ma non sono convinto, più che altro vuole spendere bene. Oggi, più che mai, visto che con il web il confronto e le informazioni sono rapidamente raggiungibili. E poi c’è il posizionamento e le aspettative che cambiano in funzione della promessa al cliente. E’ banale, ma a volte ce lo dimentichiamo.

In tutto ciò la marca continua ad avere la sua importanza?
In alcuni comparti sì, ma prima di tutto c’è quella che definirei come una sorta di ipermarca – Leroy Merlin, nel mio caso – che garantisce tutte le altre. In primis la fiducia va all’insegna che si fa garante di tutto quello che contiene, poi, certamente, ci sono comparti dove le marche sono molto importanti, perché sono un veicolo di valori, di qualità e posizionamento. Perché un conto è Makita e un altro Black&Decker; una non è migliore dell’altra, semplicemente comunicano a target diversi. E’ chiaro che bisogna stare molto attenti a non confondere la marca con le vere prestazioni e i veri benefici che il cliente percepisce. La nostra difficoltà è scindere questi aspetti, perché ok la marca, purché sia veicolo di reali benefici.

A proposito di target. E i giovani come si convincono a fare bricolage?
A sfavore c’è il fattore occupazione e la difficoltà a rendersi autonomi dalla famiglia di origine. Detto questo, anche se all’inizio ci possono essere delle difficoltà nell’essere attraenti, una volta entrati in negozio si fanno coinvolgere. Certamente Leroy Merlin ha introdotto alcuni reparti pensati per la giovane coppia e si lavora, come dire, per “svecchiare” il bricolage, renderlo più piacevole, renderlo cool.

E ce la fate? Qual è la percezione del bricolage?
Dipende. Faccio ancora esempi fuori settore ma indicativi del cambio profondo che stiamo vivendo. Pensiamo ai distributori di benzina, gli sportelli bancomat, l’home banking, il turismo on line, tutti ambiti dove ormai il “fai da te” è consolidato e fino a pochi anni fa non lo era per niente. Arriveremo anche al bricolage, ma non per difficoltà, ma per riprendere il controllo su ciò che ci riguarda. E’ l’approccio mentale che sta cambiando perché è l’individuo, in prima persona che desidera fare, entrare nel merito e, naturalmente, cosa c’è di meglio del bricolage? E’ un paradigma nuovo: si esce dalla logica dell’azienda che ti vende qualcosa, ma si entra nella logica di un’azienda che ti aiuta a fare perché sei tu che vai verso l’azienda.

Un fenomeno social antropologico, direi…
Sì. E’ un ribaltamento sociale dei ruoli e quindi del potere che ha il consumatore/cliente/persona nei confronti dell’azienda, e l’e-commerce è un esempio concreto. Dobbiamo ripensare il business model partendo dalle persone piuttosto che dai prodotti, perché il cliente non vuol perdere tempo in cose inutili, oltre al fatto che stanno diventando socialmente inaccettabili certi sprechi. Una delle tendenze emerse dalla scorsa edizione del L’Osservatorio è il decluttering, ovvero, mi disfo di ciò che non è necessario, e se questa tendenza vale su tutti i mercati varrà anche nel bricolage, un’attività che fa risparmiare denaro e tempo, un concetto quest’ultimo sul quale sarà necessario lavorare molto, in futuro.

3 risposte a “Il bricolage, gli italiani e il cambiamento sociale”

  1. Samy Majoul ha detto:

    Molto interessante. Vediamo piu o meno le stesse tendenze in Tunisia. (e anché i stessi pregiudizzi sul comportamento verso il DIY).

  2. Samy Majoul ha detto:

    Scusate per la risposta in ritardo ma sarebbe interessante fare un benchmarking sul comportamento del consumatore italiano (nord vs sud) e quello Tunisino.

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