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Cliente e brand? Verso relazioni sempre più strette

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Infobip è un’azienda multinazionale con 75 sedi nel mondo e un fatturato che, nello scorso 2022, ha raggiunto 1,2 miliardi di euro con quasi 4mila dipendenti. Una vera e propria piattaforma globale di comunicazione cloud che permette alle aziende di costruire esperienze con i propri clienti in tutte le fasi del customer journey.

Di cosa si occupa? Soluzioni di omnichannel engagement, identità, sicurezza dell’autenticazione degli utenti e contact center. Per capire, basti il fatto che Infobip ha iniziato la sua attività, nel 2006, come provider di sms, ai quali si sono aggiunti, via via, tutti gli altri canali che oggi sono disponibili e parzialmente utilizzati per consentire alle aziende di dialogare con i propri clienti.

Per capire le tendenze di questo fenomeno e in che modo le aziende oggi utilizzano questi strumenti abbiamo incontrato Vittorio D’Alessio, Country Manager Italy.

“Oggi in Italia, come messagistica, domina WhatsApp ma, in altri Paesi esistono altri strumenti come Viber nei Balcani o, ancora Line in Giappone e KakaoTalk che va per la maggiore in Corea. Ma l’obiettivo è il medesimo, dare la possibilità ai clienti di dialogare con i brand che preferiscono in modalità one to one e non più one to many”.

Qual è il comun denominatore di questa propensione al dialogo tra aziende e consumatori?
In questo momento, indubbiamente l’accesso diretto e customizzato sulle esigenze del cliente. Gli studi sull’argomento non lasciano dubbi: 2/3 dei consumatori dichiarano di preferire l’acquisto da brand con cui entrano in contatto diretto. E questo vale sia nel momento della vendita sia nel postvendita. Secondo una ricerca di Infobip sui consumatori europei, è emerso che circa un terzo (32%) delle persone non continuerà a investire in un’azienda che ha fornito un servizio scadente, ma se riesce ad essere felice e soddisfatto, è molto più probabile che rimanga fedele.  

E come si inserisce una app come WhatsApp e similari in tutto ciò?
Il cliente si è stancato di telefonare e passare attraverso più o meno numerosi momenti di attesa, decisamente più comodo è inviare un messaggio e attendere la risposta, anche se non è immediata. E questo atteggiamento si può declinare non solo per strumenti come WhatsApp ma anche social, app di messaggistica e strumenti di business messenger. A questo proposito, anche nel b2b, non sono rari i canali conversazionali che i grossi provider mettono a disposizione per fare conversare gli agenti o la divisione tecnica e commerciale con i propri clienti.

Qual’è la funzione dei bot?
Il bot c’è nella fase iniziale e di selezione, ma se non è esaustiva la risposta allora la chiamata passa ad un agente che può continuare la conversazione chattando sul sito o direttamente in contatto telefonico.

Quali sono stati gli effetti del covid sulla vostra attività? Queste tipo di soluzioni sono aumentate?
Sì, il Covid ha dato una spinta a tutti. Le aziende si sono trovate sprovviste di un contatto diretto con i propri clienti, dato che i negozi erano chiusi, e il sito, pur essendo idoneo per l’eCommerce, spesso non lo era per affrontare tutti gli aspetti comunicazionali necessari.

Un esempio?
Interessante, anche se fuori settore diy e garden, è quello di Salmoiraghi&Viganò che aveva i negozi aperti ma l’accesso per le visite era previsto solo su appuntamento. L’implementazione tecnologica ha visto la comparsa del bot per gli appuntamenti e questo è diventato un vero e proprio touch point per il distributore, così come il servizio di assistenza che in un caso su due viene gestito mediante WhatsApp.

Oggi si parla molto di bot e di intelligenza artificiale. Qual è il margine di affidabilità attuale per bot? Come funzionano?
I bot funzionano a domande chiuse o domande aperte. Il primo caso è in genere applicato alle attività di assistenza, dove si è alle prese con un cliente che ha un problema, può essere agitato o frustrato. In questo caso è necessario guidare l’interlocutore in modo chiaro e semplice, magari portando il cliente verso il “famigerato” libretto di istruzioni che noi italiani leggiamo poco ma che, in genere, risolve il 70% delle richieste. Il resto passa agli agenti, alle persone.

Il bot, quindi come facilitatore del lavoro delle persone?
Direi proprio di sì. Nel caso dell’assistenza, che è l’aspetto più delicato del rapporto cliente-distribuzione e /o produttore, l’80% degli agenti impiegati nel customer care ritiene sia utile avere un bot che qualifichi le esigenze del cliente per svolgere meglio il loro lavoro ed essere più informati sulle sue esigenze.

E le domande aperte?
Le domande aperte e l’intelligenza artificiale la utilizziamo quando si può ampliare lo spettro delle richieste, con azioni di customer engagement sul cliente per capire quali sono i suoi interessi e gli orientamenti. In questo caso l’intelligenza artificiale risponde piuttosto abbastanza bene e le informazioni raccolte sono sempre utili per il customer care.

A che punto è l’Italia con l’utilizzo di questi sistemi?
Dal punto di vista dell’utilizzo, gli italiani sono primi in assoluto nell’utilizzo delle chat, diverso però è l’utilizzo di questi strumenti da parte dei brand. Ad esempio nel Latino America funzionano benissimo perché sono molto più facili da usare rispetto alla navigazione su un sito e perché la maggior parte delle persone non ha un PC però ha un telefono. Così anche la zona Est Asiatica dove sono sicuramente più avanti in termini di servizi innovativi. L’Europa arriva dopo anche perché abbiamo il GDPR che ci tutela ma è anche un po’ limitante. Naturalmente si può lavorare però in nazioni dove non esistono queste legislazioni è più facile fare attività di questo tipo. Entrando nel dettaglio posso dire che l’Italia è piuttosto avanti in processi di questo tipo.

C’è cultura rispetto a queste soluzioni?
Non molto e il nostro è anche un lavoro di evangelizzazione. In genere si inizia con un piccolo progetto e si vede come funziona. Via via che il cliente ne scopre i benefici va ad implementare la griglia delle attività e dei servizi.

Tendenze? Cosa prevede in futuro?
Quello che vedo nel futuro è quello che chiamiamo il conversational commerce, ovvero la possibilità di acquistare anche su un canale conversazionale come WhatsApp, facebook, Instagram, ecc. questo etc. E’ già una realtà in paesi come per esempio l’India dove WhatsApp ha già implementato un gateway di pagamento, ovvero la possibilità di pagare direttamente all’interno del canale. Quindi una progressione verso relazioni, anche d’acquisto, sempre più one to one tra cliente e brand. Nei prossimi 5 anni ci sarà sicuramente questo tipo di evoluzione. Già esistono, ma diventeranno ancora più importanti.

Infobip Pangea Campus
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