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Thierry Garnier, per Kingfisher strategie globali e diversificazione

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Intervista a tutto tondo a Thierry Garnier CEO di Kingfisher, protagonista della serie “Meet the CEO” condotta da John W.Herbert, EDRA-GHIN. Un contributo interessante sul quale soffermarsi per qualche riflessione in più.

Thierry Garnier è stato per 22 anni in Carrefour, CEO di Carrefour Asia dal 2012; nel 2019 entra in Kingfisher, gigante del settore DIY con più di 1380 negozi supportati da un team di 80 mila addetti, operante in 8 Paesi in Europa, con diverse insegne come B&Q, Castorama, Brico Dépot, ScrewFix, Tradepoint e Koçtaş.

Dopo aver lavorato in Carrefour per 22 anni, CEO di Carrefour Asia dal 2012 e responsabile di oltre 350 negozi in Cina e Taiwan con 55 mila addetti e un fatturato di oltre 6 miliardi, ora è approdato nel settore del fai da te. Come è riuscito a gestire il cambiamento?
Mi piace molto apprendere cose nuove e questa occasione mi è stata congeniale. Ho trascorso 22 anni nel food retail e ho imparato molto sia sul fronte della gestione del personale sia in quello che è il rapporto con i colleghi, cercando inoltre di capire i cambiamenti nelle abitudini dei consumatori per modificare l’approccio come azienda. Oggi, lavorare nel retail, ma in un diverso settore e in un’azienda così grande come Kingfisher anche quotata a Londra, significa affrontare e cogliere nuove sfide.

Dalla pandemia alla penuria di materie prime

Come state affrontando l’era pandemica in Kingfisher?
L’anno scorso il primo Paese coinvolto nella pandemia fu la Francia, con il primo lockdown, seguita da Polonia, Spagna e infine Gran Bretagna. A quel tempo nessuno sapeva quali misure dovevamo mettere in campo per proteggere il nostro staff e i clienti: per questo abbiamo adottato la decisione di tenere tutti gli store chiusi per due settimane in Francia e UK. Abbiamo operato esclusivamente online e, anche se è stata una decisione difficile, ancora oggi credo che abbiamo agito correttamente. Dopo poche settimane, quando erano chiare le strategie di protezione individuale ed eravamo riusciti a rifornirci di tutti i presidi di sicurezza, abbiamo riaperto. La nostra priorità è ed è sempre stata la sicurezza dello staff e dei clienti.

Si parla molto in questo periodo di scarsità di forniture, specialmente di materie prime. Come state affrontando questa difficoltà?
Come è noto le forniture non riescono a stare al passo con i consumi e ci sono diverse problematiche legate alla fornitura di materie prime come rame, acciaio e legno e anche legate ai trasporti e alla disponibilità di container. Stiamo lavorando per gestire al meglio i rapporti con i fornitori sia in Asia sia in Europa, cercando di studiare l’andamento del mercato e facendo le adeguate previsioni.

Con il lockdown il vostro pubblico è cambiato o, meglio, si è ampliato, andando a comprendere una fascia di età prima estranea al settore, quella dei 18-34 anni.
Si, durante il lockdown abbiamo acquisito molti clienti nuovi e una nuova fascia di neofiti hobbisti tra i giovani, molti dei quali hanno ammesso di essere entrati nel DIY per caso e per la prima volta. Dalle nostre ricerche condotte a inizio 2021, il 20% di questo gruppo ha dichiarato di aver provato il  DIY per la prima volta e il 55% è coinvolto nel DIY più di prima. Questo è certamente un trend nuovo e in crescita, che sarà di supporto anche per il futuro.

In questo periodo di restrizioni la casa è stata vissuta molto di più anche dai giovani, che l’hanno riscoperta e abitata per assistere alle lezioni scolastiche, per allenarsi, per godersi l’intrattenimento. Come è andata in Gran Bretagna?
Con più tempo da trascorrere a casa, la necessità di riorganizzare gli spazi per lavorare e studiare e, a volte, i maggiori risparmi, tanti giovani hanno cercato di rendere più accogliente la propria sede domestica. Così, si sono improvvisati hobbisti, apprendendo nuove competenze e usandole in maniera creativa. Come dicevo prima, è una tendenza che a mio avviso durerà a lungo.

Il settore del DIY è stato un grande esempio di attenzione verso il personale e lo staff on-site.
La nostra priorità è sempre stato il personale. Abbiamo avuto modo di scoprire una forte coesione nel nostro team, nel quale tutti hanno reagito in maniera eccellente al repentino cambiamento imposto dalla pandemia. Questa crisi ci ha obbligato e insegnato a rapportarci con l’incertezza e il dinamismo, abbiamo avuto bisogno di aggiustamenti continui, anche quotidiani. Abbiamo appreso e interiorizzato abilità che sarebbe corretto portarci dietro anche nel futuro.

Il boom dell’online service e l’esempio della Cina

Anche nel settore del DIY – e potremmo dire, sopratutto in questo settore – abbiamo assistito a un boom dell’online service. Come avete reagito a questo trend in Kingfisher?
Come detto prima, all’inizio abbiamo deciso di chiudere gli store muovendoci esclusivamente con ordini online, per proteggere il nostro personale. Già nel febbraio 2020 – prima del lockdown – avevamo condotto i primi test per cercare di guadagnare in flessibilità e ampliare il numero di ordini online. È qualcosa che ho imparato nella mia esperienza lavorativa in Cina, dove gran parte dei rivenditori sono attivi nelle operazioni online da molto tempo. Parliamo di preparazione di decine di migliaia di ordini al giorno, cosa che per noi in Europa è ancora impossibile da mettere in atto. Ma è tutta questione di efficienza nelle operazioni di magazzino, che permette di guadagnare in flessibilità: nell’estate 2020 abbiamo avuto grandi risultati in questo senso, preparando ed evadendo 1,5 milioni di ordini a settimana.

La Cina insegna che la velocità nell’e-commerce è tutto…
In realtà è più un mindset che deve coinvolgere la dirigenza. Tutti sono d’accordo nel voler andare veloci, ma la grande sfida è accettare che qualcosa possa andare storto e si possano commettere errori. Non va inseguita la perfezione perché è molto rischiosa. Non ne abbiamo bisogno realmente: possiamo iniziare anche se non siamo pronti al 100%, per scoprire strada facendo che quella percentuale che mancava non serve davvero, e questo rende tutto più veloce. Mettere da parte le proprie aspettative manageriali di voler vedere tutto pronto alla perfezione è un grande esercizio di adattamento, specie in tempi di crisi. Io credo che il mondo oggi si muova in questa direzione.

Oggi gli ordini vengono evasi e spediti il giorno stesso oppure il seguente, e questo è strabiliante. La pandemia ha spinto l’acceleratore a livelli inimmaginabili. Kingfisher ha acquisito milioni di nuovi clienti in rete ed è cresciuta la percentuale delle vendite online: cosa vi aspettate dal futuro?
Mi aspetto che l’e-commerce continui a diffondersi sempre di più, ma la sfida rimane aperta per alcune categorie come merci di grandi dimensioni e per le cucine, difficili da spedire online. Stiamo sviluppando pratiche e modalità per snellire le spedizioni e rendere più efficiente il processo. Le idee ci sono e vanno portate avanti perché credo che questa tendenza sia il nostro futuro.

Responsabilità sociale e private label

Kingfisher ha più di 1300 store fisici: ne avrete ancora bisogno nel futuro?
Siamo convinti che avremo bisogno di più punti vendita, ma probabilmente di dimensioni più ridotte. Non credo che la questione sia il numero di negozi quanto la loro estensione: molti di essi infatti sono troppo ampi. La nostra visione abbraccia store più piccoli ma votati al servizio: click & collect, e-commerce, picking point e dark stores. Il trend oggi spinge i formati più piccoli e la velocità dell’e-commerce. Le giovani generazioni sono votate alla rapidità, non sanno e non vogliono attendere: vogliono la merce pronta o spedita a casa in poco tempo. Questo avrà sicuramente una grande influenza nelle vendite del nostro settore.

Brexit: come rivenditore pan europeo, qual è stato l’impatto sul vostro business?
Non abbiamo avuto un grosso impatto, ci siamo preparati con coerenza a questo evento per diversi anni, lavorando con i nostri fornitori e con i porti per l’import-export. Ora ci sono solo alcuni problemi di minima entità su questo fronte, che non ci preoccupano affatto.

Parliamo ora di responsabilità sociale: cosa sta facendo Kingfisher in merito?
Già dal 1991 ci occupiamo di risorse sostenibili. Siamo stati tra i partner fondatori del FSC (Forest Stewardship Council) nel 1993. Abbiamo sempre lavorato sodo nel far sì che tutto l’approvvigionamento di carta e legno sia sempre più sostenibile: siamo molto vicini al 100% e lo raggiungeremo nei prossimi anni. In tema di riscaldamento globale, lavoriamo per aiutare ad affrontare il cambiamento climatico e abbiamo intrapreso azioni dedicate negli store e nell’ambito della logistica per ridurre le emissioni di gas serra entro il 2025.

Parlando dei vostri brand, il 44% delle vostre vendite riguarda i prodotti “private label”: che ruolo hanno in tema di sostenibilità?
Le private label sono una grande opportunità: è più semplice creare i propri prodotti in maniera sostenibile. Stiamo lavorando intensamente per la sostenibilità affinché una sempre maggiore quantità di prodotti rientri in tal senso nelle nostre classificazioni, per esempio prodotti per il risparmio dell’acqua, realizzati in materiale riciclato o che si possono riciclare. Disponiamo di diverse categorie di prodotti che qualifichiamo come “verdi”. Certo, possiamo sempre fare di più. Abbiamo bisogno anche dei brand e di trovare il giusto bilanciamento con le private label. I partner e i fornitori possono contribuire: credo in un’ecosistema “green”, non si può essere “smart” da soli.

Il progetto Powered by Kingfisher e l’acquisto di NeedHelp

La struttura corporate prevede diversi modelli di organizzazione. Qual è il vostro?
Non credo né nella centralizzazione né nella frammentazione. Hanno grande importanza sia gli store manager, che devono operare localmente per conoscere il proprio territorio, sia gli esperti che analizzano i dati e creano i prezzi, chi progetta il merchandising e chi si occupa delle private label, per le quali servono competenze di design, ingegneria e i controlli qualità. Bisogna tenere alto il rapporto con il consumatore e chi opera nel front office deve essere immerso nella cultura aziendale. A questo proposito l’anno scorso abbiamo introdotto un grande piano azionario che dà al dipendente il diritto, ma non il dovere, di comprare azioni a un certo prezzo, con la formula “1+1”, in rapporto uno a uno. Più del 12% del team ha partecipato al programma per diventare azionista di Kingfisher e questo è stato un grande risultato: ci fa capire che in molti credono nelle nostre strategie e che ci stiamo muovendo nella giusta direzione.

Powered by Kingfisher: cosa significa?
Abbiamo annunciato questo piano nel giugno dell’anno scorso per massimizzare i benefici dei nostri rivenditori al dettaglio, grazie all’esperienza del Gruppo. Le nostre insegne si rivolgono alle diverse esigenze dei consumatori, operano in diversi modelli e hanno un posizionamento chiaro, preciso. Abbiamo insegne diversificate e dobbiamo implementare le loro differenze: per esempio, Brico Depot è un hard-discount, Screw Fix e Trade Point sono dedicati ai professionisti. Sono le differenze che da un lato ci permettono di coprire le diverse esigenze dei consumatori e dall’altro costituiscono la forza del nostro gruppo.

Di recente avete acquisito NeedHelp, marketplace di servizi per la casa. Come si inserisce all’interno della vostra strategia globale, Powered by Kingfisher?
NeedHelp è un piccolo marketplace europeo B2B2C che mette in contatto i clienti che hanno bisogno di aiuto per lavori in casa con artigiani professionisti ed esperti qualificati. La piattaforma monitora i contatti e le transazioni. NeedHelp è uno dei nostri main partner, già attivo in Gran Bretagna e Polonia, che ci permette di fornire un servizio aggiuntivo, solo online, all’interno del nostro piano di servizi che funziona come un’ecosistema ben integrato.

Avete sperimentato diversi concetti di negozio: shop-in-shop, assist-stores e compact stores. Quali sono i benefici di questa dimensione che va sempre più riducendosi?
In Kingfisher crediamo molto nel formato piccolo, che a mio avviso è un trend in crescita, soprattutto nelle grandi città. Quello che stiamo facendo ora è pensare a proposte “urbane”, aderenti al tessuto locale; i primi test sono partiti con le insegne Screw Fix e B&Q nei collection points e click&collect stores in Polonia e Francia. Non si tratta di grandi spazi: qui la sfida è organizzare gli interni per condividere in maniera ottimale i diversi marchi.

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