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Retail Tomorrow 2020: il futuro della distribuzione si presenta

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Si è svolto l’evento organizzato da Retail Institute Italy e dedicato all’innovazione nel settore retail. Il futuro? molte chiusure, la dimensione phigital e la sostenibilità.

Un think tank per immergersi nel futuro di questo comparto e comprendere come approcciare i mutamenti che influenzeranno le attività nei prossimi anni, le strategie da mettere in campo, i modelli da adottare per affrontare le nuove sfide imposte da Covid-19. Nell’edizione 2020 il format è stato interamente digitale, trasmesso live streaming, un’altra delle conseguenze di un’emergenza sanitaria che, nei mesi scorsi e anche in questi giorni, sta dimostrando che comprendere come utilizzare la tecnologia, innovare processi e modelli di business, adeguare i propri modelli organizzativi, capire a fondo il sistema mercato e di servizio è fondamentale.

Come ha infatti ricordato Marco Zanardi, presidente di Retail Institute Italy, nel suo intervento introduttivo, la rete dell’industry del retail sta cambiando velocemente, a causa non solo del Covid, ma anche dal sentiment dei consumatori. “Retail Tomorrow vuole dare l’orizzonte di quello che succederà in un futuro neanche tanto lontano. Esplosione di servizi, di formati, di tecnologie, di prossimità intesa come vicinanza ai bisogni del cliente. E ciò non significa solo la consegna – il delivery che oramai tutti abbiamo imparato a conoscere in questi mesi – ma anche riuscire a presentare i prodotti a distanza. Vogliamo illustrare il design di quello che sarà il retail nei prossimi anni, di quanto impatteranno la safe experience o il safe design, il mondo degli influencer, dove il fenomeno dei micro influencer sta cambiando il momento del sell out.

Il futuro? Sarà difficile, è inutile nasconderlo, con la chiusura di tanti punti vendita non solo nel 2021, ma anche nel 2022. È necessario, anche se in controtendenza, modellare una nuova dimensione phigital, se non lo faremo saremo in difficoltà. Sarà necessario anche coinvolgere le nuove generazioni e, cosa che sta avvenendo in Usa, anche attraverso la collaborazione con gli over 55“.

La sostenibilità come prerequisito

Tra i diversi interventi, va ricordato “Disrupt Your Industry: The Impact Of Sustainability”, dedicato all’attenzione crescente da parte dei consumatori al valore della sostenibilità. Implementare strategie green-oriented è complesso, perché impone un ripensamento attento dei modelli di business e dei processi operativi. Tuttavia rappresenta un’opportunità di innovazione importante, in grado di aprire nuove porte nella relazione con il cliente. Carlo Alberto Pratesi, professore ordinario di Marketing, Innovazione e Sostenibilità presso l’Università Roma Tre e Presidente EIIS, è intervenuto sul tema partendo da una domanda: cosa è cambiato nel post Covid per ciò che riguarda la sostenibilità?

L’emergenza Covid di fatto “non ha ridotto” una tendenza, già era in atto nel mercato, di un maggiore interesse verso questi temi, sia da parte delle aziende che da quella dei consumatori.

“Nell’ultimo anno, prima della pandemia, abbiamo osservato un cambio di paradigma. Se essere responsabili negli stili di consumo dal lato della domanda, nei modi di produzione e distribuzione dal lato dell’offerta, era considerato una sorta di etichetta o valore aggiunto in termini di posizionamento, qualcosa che migliorava la reputazione sia delle persone che delle aziende, oggi è diventato un prerequisito, un elemento che deve esserci e, laddove dovesse mancare, l’immagine ne risentirebbe».

Molto ha influito la combinazione di messaggi forti. Ne sono un esempio quelli lanciati da Greta Thunberg o Papa Francesco che, con modalità differenti, hanno riportato l’attenzione alle responsabilità, trasformando la “non sostenibilità” in qualcosa di condannabile. Le aziende proseguono quindi nel loro sforzo per adeguarsi e così i consumatori, che almeno in parte riconducono anche la pandemia ad un’inadeguata gestione dell’ambiente e dei rapporti tra uomo e biodiversità.

“Essere sostenibili non è più un’opzione insomma. Chiaro che porta con sé grande complessità, c’è prima di tutto un tema di bilanciamento di priorità: non tutti interpretano la sostenibilità allo stesso modo, e non tutte le esigenze sono conciliabili, bisognerà fare delle scelte valoriali, perché per esempio ridurre l’impatto ambientale vuol dire in alcuni casi rinunciare ad altre esigenze, di economicità o funzionalità di prodotti e servizi. In molti casi non c’è una strada indiscutibilmente preferibile ad un altra, spesso la risposta rientra nell’ambito dell’etica. Ecco perché ogni azienda è chiamata a definire una propria gerarchia dei valori, rispetto alla quale basare la propria strategia di business».

La sostenibilità ora non è più un’opzione, ha sottolineato Pratesi. E chi non ne ha tenuto conto, lo pagherà in un secondo momento. Questo riguarda tutte le industry, compreso il retail, che in molti mercati ha lanciato per primo il sasso chiedendo ai produttori di comportarsi in un modo diverso.

Nel panel di cui Pratesi è stato moderatore e al quale hanno partecipato Alessandro Andreanelli (Lush) Mario Galietti (Procter & Gamble, Lucia Marcuzzo (Levi’s) e Maria Silvia Pazzi (Regenesi) sono stati presi in esami alcuni concetti:

Scienza: che ruolo ha e come aiuta a prendere decisioni offendo misurazioni precise, ed evidenze scientifiche.

Valori: quanto sono importanti quelli legati al sociale, alle risorse umane, all’impatto economico, oltre che ambientale.

Innovazione: la sostenibilità non è il risultato solo della riduzione dei consumi, ma anche dell’innovazione dei prodotti e dei processi, del modo in cui si comunica ai consumatori prodotti e servizi, dell’approccio che si ha in termini di educazione alla sostenibilità. Per cambiare le cose bisogna inventare nuovi modi di fare impresa.

Network: per attuare la sostenibilità serve una collaborazione tra stakeholder, chi fa le norme, chi produce, chi distribuisce, chi inventa, ecc… Il concetto della rete è sempre stato rilevante, oggi diventa una precondizione.

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