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Un business di merda, anzi di Merdacotta

Tutti gli imprenditori, a qualsiasi settore appartengano, conoscono la Green Economy e le sue teorie sulla produzione sostenibile ed ecologicamente compatibile. Concetti dai quali non si può più prescindere per l’attenzione ormai decisamente elevata che i consumatori mettono nella scelta del prodotto da acquistare o nella decisione di riporre la propria fiducia in una marca.

Il problema più volte posto dagli imprenditori riguarda i costi di applicazione, spesso molto alti, delle teorie della Green Economy, a fronte di vantaggio indubbi per l’ambiente e la società, ma a volte non proporzionati agli sforzi e agli investimenti fatti.

Forse non tutti gli imprenditori conoscono invece la Blue Economy, teorizzata nei primi anni di questo secolo da Gunter Pauli, imprenditore ed economista che nella fondazione Zeri (Zero Emission Research Initiative) ha costruito una rete internazionale di scienziati, studiosi ed economisti che ricercano soluzioni innovative e nuovi modelli di produzione.

Il concetto di base che sottende alle teorie della Blue Economy deriva dall’osservazione che in natura non esistono nè disoccupati e nemmeno rifiuti: tutti svolgono un compito e gli scarti degli uni diventano materia prima per gli altri, in un sistema a cascata in cui nulla viene sprecato.

Nella Blue Economy il rifiuto, di qualsiasi genere esso sia, è una risorsa da sfruttare per portare lavoro e benessere all’uomo e naturalmente anche all’ambiente. Gunter Pauli ha scritto diversi libri sull’argomento (tradotti in più di 20 lingue, in italiano dal 2010 grazie ad Edizioni Ambiente), ma anche nel sito web della Zeri Foundation sono raccontati più di cento interventi di successo nelle più diverse parti del mondo. Vi suggeriamo la lettura del libro e la navigazione del sito.

Il Museo della Merda e il riciclo del letame bovino

Dopo essere rimasti affascinati da Gunter Pauli nel 2011, durante un convegno che si tenne al Politecnico di Milano, abbiamo ritrovato l’applicazione delle sue teorie a Orticolario, nello stand intitolato al Museo della Merda.

L’idea di questo singolare Museo nasce dall’iniziativa di Gianantonio Locatelli, imprenditore agricolo di Castelbosco, un castello situato nel comune di Gragnano, in provincia di Piacenza. L’azienda di Gianantonio Locatelli comprende sette unità produttive che forniscono il latte per il Grana Padano: stiamo parlando di 3.500 bovini di razza selezionata che producono ogni giorno 500 quintali di latte e 1.500 di sterco.

Una quantità di deiezioni che Locatelli ha deciso di trasformare in un progetto ecologico e profittevole.

Il primo passo è stato quello di installare dei digestori per la produzione di biogas, dal quale oggi vengono ottenuti fino a 3.000 megawatt all’ora di energia elettrica, in più, con la temperatura sviluppata dai digestori al momento della trasformazione del letame in energia vengono riscaldati di edifici e gli uffici di Castelbosco.

Al termine di tale processo però, una volta utilizzata la parte gassosa, si ha un ulteriore residuo liquido e uno fibroso. Il primo viene utilizzato per la composizione di concimi naturali, mentre il secondo, pari a circa un terzo del totale, viene trasformato in Merdacotta (marchio registrato), materiale simile alla terracotta ottenuto dalla miscela del residuo di cui sopra e argilla, debitamente cotto.

Con la Merdacotta sono stati plasmati tutti i primi prodotti a marchio Museo della Merda: vasi, portafiori, mattonelle, piatti, ciotole, brocche e tazze. La costante di questi prodotti sono le forme semplici e rurali, azzerando ogni frivolezza. Uno di quei casi, si può ben dire, in cui la forma è sostanza.

E’ in questo contesto che si inserisce, nell’aprile 2015, l’apertura del Museo della Merda dove sono state raccolte testimonianze estetiche e scientifiche che nella storia hanno fatto della merda un materiale utile e vivo. Dallo scarabeo stercorario, considerato divino dagli egizi, all’utilizzo dello sterco nell’architettura (dalle antiche civiltà italiche fino a quelle africane), dalle alle opere storico-letterarie come, per esempio, la Naturalis Historia di Plinio, fino alle ricerche scientifiche e alle opere d’arte più attuali che partono dall’uso e riusi di scarti e rifiuti.

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