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Confcommercio, fermare la desertificazione commerciale

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Dal 2012 ad oggi sono sparite 77mila attività e nel 2021 chiuderà 1 impresa su 4 in ristorazione e alloggio. I dati presentati oggi, 22 febbraio dell’Ufficio Studi della Confederazione, nel rapporto “Demografia d’impresa nelle città italiane”.


“Per fermare la desertificazione commerciale delle nostre città, bisogna agire su due fronti: da un lato, sostenere le imprese più colpite dai lockdown e introdurre finalmente una giusta web tax che risponda al principio ‘stesso mercato, stesse regole’- questo il commento del Presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli -. Dall’altro, mettere in campo un urgente piano di rigenerazione urbana per favorire la digitalizzazione delle imprese e rilanciare i valori identitari delle nostre città”.

I dati delle imprese commerciali

La riscoperta dei negozi di prossimità, non ne arresta il calo e, tra il 2012 e il 2020, è proseguito il processo di desertificazione commerciale. Sono sparite, complessivamente, dalle città italiane oltre 77mila attività di commercio al dettaglio (-14%) e quasi 14mila imprese di commercio ambulante (-14,8%).

A livello territoriale, il Sud, rispetto al Centro-Nord, perde più ambulanti, ma registra una maggiore crescita per alberghi, bar e ristoranti; il Covid acuisce certe tendenze e ne modifica drammaticamente altre: nel 2021, solo nei centri storici dei 110 capoluoghi di provincia e altre 10 città di media ampiezza, oltre ad un calo ancora maggiore per il commercio al dettaglio (-17,1%), si registrerà per la prima volta nella storia economica degli ultimi due decenni anche la perdita di un quarto delle imprese di alloggio e ristorazione (-24,9%).

Anche il commercio elettronico, che vale ormai più di 30 miliardi, registra cambiamenti a causa della pandemia: nel 2020 è in calo del 2,6% rispetto al 2019 come risultato di un boom per i beni, anche alimentari, pari a +30,7% e di un crollo dei servizi acquistati (-46,9%). Quindi, città con meno negozi, meno attività ricettive e di ristorazione e solo farmacie e informatica e comunicazioni in controtendenza col segno più. Il rischio di non “riavere” i nostri centri storici come li abbiamo visti e vissuti prima della pandemia è, dunque, molto concreto e questo significa minore qualità della vita dei residenti e minore appeal turistico.

Tra il 2012 e il 2020 – secondo l’analisi – si è verificato un cambiamento del tessuto commerciale all’interno dei centri storici che la pandemia tenderà a enfatizzare. Per il commercio in sede fissa, tiene in una qualche misura la numerosità dei negozi di base come gli alimentari (-2,6%) e quelli che, oltre a soddisfare bisogni primari, svolgono nuove funzioni, come le tabaccherie (-2,3%); significativi sono invece i cambiamenti legati alle modificazioni dei consumi, come tecnologia e comunicazioni (+18,9%) e farmacie (+19,7%), queste ultime diventate ormai luoghi per sviluppare la cura del sé e non solo quindi tradizionali punti di approvvigionamento dei medicinali.

Non Food in calo

Il resto dei settori merceologici è, invece, in rapida discesa: si tratta dei negozi dei beni tradizionali che si spostano nei centri commerciali o, comunque, fuori dai centri storici che registrano riduzioni che vanno dal 17% per l’abbigliamento al 25,3% per libri e giocattoli, dal 27,1% per mobili e ferramenta fino al 33% per le pompe di benzina. La pandemia acuisce questi trend e lo fa con una precisione chirurgica: i settori che hanno tenuto o che stavano crescendo cresceranno ancora, quelli in declino rischiano di scomparire dai centri storici.

Quanto alle dinamiche riguardanti ambulanti, alberghi, bar e ristoranti, a fronte di un processo di razionalizzazione dei primi (-19,5%), per alberghi e pubblici esercizi, che nel periodo registrano rispettivamente +46,9% e +10%, il futuro è molto incerto. Ma occorre reagire per dare una prospettiva diversa alle nostre città che rappresentano un patrimonio da preservare e valorizzare. Le direttrici sono tre: un progetto di rigenerazione urbana, l’innovazione delle piccole superfici di vendita e una giusta ed equa web tax per ripristinare parità di regole di mercato tra tutte le imprese.

Tra il 2012 e il 2020 sono spariti 77mila negozi in sede fissa, con una riduzione del 14%; per converso cresce dell’8,8% il numero di attività di alloggio e ristorazione. L’approfondimento di questi macro-trend sui 120 comuni medio-grandi considerati nell’analisi presenta qualche differenza rilevante: non solo spariscono più rapidamente negozi fissi e ambulanti, ma le città attirano turismo, relazioni, convivialità, ricreazione e cultura, esattamente i settori più colpiti dalla pandemia.

Une’videnza meritevole di attenzione è la riduzione del commercio al dettaglio in sede fissa nei centri storici, solo leggermente superiore a quella fuori dai centri storici. Il conteggio sconta una diversa struttura urbanistica tra centri e non centri. Perdere 4 negozi fuori dal centro potrebbe indicare che cinque hanno chiuso e uno più grande ha aperto, con un saldo di meno 4. Nel centro storico, invece, queste sostituzioni sono tecnicamente molto più difficili. E’ per questa ragione che, riguardo al commercio fisso, le riduzioni nei centri pesano di più proprio con riferimento all’eventuale riduzione dei livelli di servizio.

Prosegue il processo di razionalizzazione dell’ambulantato, soprattutto nei centri storici delle città meridionali (-24,2% contro una riduzione del 15,4% nel Centro-Nord). È sempre positiva la dinamica dei pubblici esercizi, anche se la qualità dell’offerta, causa effetto composizione, si è deteriorata. Il futuro costituisce un’incognita difficile da decifrare: soprattutto nei centri storici delle città considerate si osserverà una riduzione delle attività legate al turismo. Non si può affermare, tuttavia, con certezza che questa riduzione – che si registrerà nel 2021 – sarà permanente. È un’eventualità, però, che non si può escludere.

Prosegue l’aumento delle imprese straniere

Analizzando l’andamento per Paese di nascita del controllore dell’impresa, nel complesso dell’economia quelle italiane si sono ridotte di quasi il 3% quelle straniere sono cresciute del 31,3%. Nel commercio totale (ingrosso e dettaglio), in particolare, le imprese italiane si sono ridotte del 6,9% e quelle straniere sono cresciute del 27,5%, confermando il ruolo del commercio per le attività degli stranieri e anche quanto sia importante per il commercio l’attività degli stranieri.

Il commercio elettronico certamente abbassa ricavi e margini per i negozi fisici, ma visto che ormai vale più di 30 miliardi, si deve registrare che per molti negozi, anche piccoli, che lo utilizzano sia un fattore di sviluppo. Comunque va tenuto conto che anche il commercio online registra cambiamenti a causa della pandemia e questo può fare paura: si sono ridotti gli acquisti nel complesso, ma esclusivamente a causa della riduzione dei servizi acquistati sul canale virtuale perché per i beni, anche per gli alimentari, il boom dell’online c’è stato ed è abbastanza illusorio che si torni completamente indietro quando l’epidemia sarà finita. Questa è una nuova sfida per i negozi fisici, che non possono più rimanere solo fisici.


Nota metodologica

La disaggregazione riguarda 13 aree di attività economica, 9 del commercio fisso al dettaglio, cui si aggiungono il commercio ambulante, l’area dell’alloggio e quella della ristorazione, cioè bar e ristoranti; per completezza c’è anche una voce «altro commercio» che riguarda sostanzialmente le società che vendono online e porta a porta, i distributori automatici e le vendite per corrispondenza. Le osservazioni riguardano il periodo che va dal 2008 a giugno 2020; l’analisi è incentrata, prevalentemente, nel confronto 2012-2020. Oggetto di osservazione: 120 città medio-grandi, cioè tutti i capoluoghi di provincia più 10 comuni di media dimensione (sono escluse le grandi città come Roma, Milano e Napoli in quanto multicentriche). Il concetto di centro storico (CS) si riferisce prevalentemente all’appartenenza a zone urbanistiche specifiche, integrato con un approccio intuitivo che aggrega le aree e le vie a partire da un epicentro storico-commerciale. Il non centro storico (NCS) è tutto il resto del comune, cioè tutto il tessuto urbano che non è compreso nel CS. Il perimetro di analisi è sufficientemente esteso, visto che copre quasi un quarto della popolazione italiana e delle imprese.

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