Alemagna, OBI Italia: “Una price image chiara e tanti servizi”
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La multinazionale del retail specializzato ha dichiarato i propri propositi per il futuro e l’ha fatto, molto chiaramente, per voce del suo CEO Sebastian Gundel in occasione del 10° Global DIY Summit. Il momento giusto per un’intervista a Paolo Alemagna.
Un’evoluzione che è arrivata anche in Italia, dopo gli avvicendamenti tra il management che ha visto tra gli altri l’ingresso di Gianluca Cusatelli alla Direzione Acquisti e la nomina di Gian Mauro Zaffaroni alla Direzione Vendite già nel marzo 2023, il lancio dell’e-commerce a fine 2023, l’apertura di un nuovo negozio a La Spezia nello scorso mese di marzo e l’arrivo, dal 1° di luglio di Gabriele Gennai, in qualità di Country Manager.
Il momento giusto per un’intervista a tutto tondo a Paolo Alemagna, che negli ultimi 15 mesi ha guidato ad interim OBI Italia, attualmente è Presidente del Cda e Senior Advisor del Gruppo OBI e del CEO Sebastian Gundel. Il suo ritorno, il lavoro fatto, le sue impressioni sul mercato italiano e la filiera della distribuzione raccontate a TEN-diyandgarden.
Dal 2005 al 2017 in OBI Group Holding in Germania quale componente dell’Executive Board, poi cinque anni fuori dal mondo DIY e successivamente il rientro, un anno fa, seppur con un ruolo operativo solamente “ad interim”. Con quale impressione rispetto al ritrovato mercato italiano?
Se penso al passato ho il ricordo di un mercato molto stagnante, nel senso che per anni tutti hanno fatto più o meno le stesse cose: seguire le stagionalità, la corsa continua ad ottimizzare le performance, le categorie, le marginalità. Molte attività, ma senza grandissimi elementi di novità. Al mio ritorno, al contrario, ho trovato un mercato molto più in fermento, forse un po’ più all’estero rispetto all’Italia, con maggiore dinamismo e con il visibile impatto dell’adozione del digitale che è stato ed è notevolissimo.
Il digitale come trasformazione del business model
Ormai quasi tutti hanno un sito di eCommerce…
Non è tanto e solo il fatto che tutti vendono on line, che è un canale aggiuntivo alla vendita, quanto la rivoluzione che il digitale ha portato nella lettura dei dati e soprattutto nella modalità di interagire e rapportarsi con il cliente. A ciò aggiungo una maggiore attenzione alla supply chain e, in generale, all’efficienza rispetto al passato. Va detto che il nostro è sempre stato un mercato con margini lussuosi rispetto, ad esempio, al food, e questo ha fatto sì che mancasse un po’ di quell’attenzione quasi maniacale rivolta verso l’efficienza, che è invece presente nell’alimentare come elemento alla base della sopravvivenza stessa di molti operatori. Nel nostro settore sarà fondamentale riuscire a liberare risorse da reinvestire nella trasformazione del business model, investendo in tutto ciò che crea valore per il business e per il consumatore: ecco perché adesso vedo tanti operatori che stanno investendo molto sulla supply chain, non solo e non tanto sotto il profilo del mero network distributivo, ma con una visione integrata end to end da produttore a consumatore finale coprendo tutti i processi legati alla gestione delle merci.
Il digitale ha spinto a rivedere l’approccio alla tecnologia, alla lettura dei dati, anche perché la concorrenza si è fatta più stringente. Ma se parliamo di prodotti, di assortimento?
Per quanto riguarda gli assortimenti, stiamo assistendo paradossalmente ad una riduzione della profondità e dell’ampiezza di gamma all’interno dei negozi. Una tendenza resa ovviamente possibile dal fatto che poi il distributore e quindi il cliente finale, in caso di bisogno, può accedere ad un catalogo sterminato di prodotti, grazie ancora una volta al digitale. Il tema, piuttosto, è quello di fare una preselezione dei prodotti che si vuole inserire in negozio e liberare spazi che possono essere destinati sia a massificare gli alto rotanti, sui quali il prezzo diventa sempre più rilevante, sia per creare aree attraverso le quali erogare servizi o ospitare l’innovazione. Certamente questo impone, da un lato, la capacità di sviluppare ed implementare elementi nuovi all’interno del negozio, e dall’altro una maggiore dinamicità e velocità, pensiamo ai tempi ed alle modalità di riallestimento, a favore di una maggiore attenzione al cliente. Fondamentale quindi avere spazi a disposizione e saperli sfruttare al meglio! Non è un processo semplice.
L’opportunità dei DIY Superstore
Non è un processo semplice e coinvolgendo tutti i canali sta mutando molto anche il profilo di molti retailers, con sovrapposizioni evidenti. Che ne pensa?
Il progressivo crollo delle barriere che dividevano i vari canali nell’home improvement rappresenta indubbiamente un cambiamento molto rilevante. Prima c’erano i grandi medi e piccoli centri a libero servizio, più o meno specializzati, da una parte, e dall’altra il vero mercato, quello delle ristrutturazioni importanti. Ma non è più così e la mutazione, che è iniziata da diversi anni, ora, sta diventando sempre più veloce. In questo senso credo che i DIY Superstore giocheranno un ruolo sempre più rilevante e noi di OBI, in particolar modo, la consideriamo una grandissima opportunità per l’Italia.
In che senso?
Nella nostra prospettiva, di “centri brico”, si apre uno scenario incredibilmente più ampio, con una dimensione del mercato che è sette otto volte più grande rispetto a quella che conosciamo. Il mercato della ristrutturazione e manutenzione della casa, in Italia, è in divenire e la distribuzione, tutta, si sta organizzando e trasformando con l’obiettivo di servire questi bisogni che esistono ed esisteranno in futuro. Ci sarà sempre un cliente che deve sistemare una casa, una stanza o un giardino e diverse sono le modalità per risolvere quei bisogni. Con un’offerta diretta oppure intermediata dagli artigiani. E il mercato italiano rappresenta una grande opportunità con un potenziale enorme, del valore di oltre 100 miliardi. Direi che lo spazio da occupare è ancora molto, con grandi prospettive di crescita per quegli operatori che sapranno muoversi nella maniera corretta.
E i “centri brico” sono pronti?
Dipende, alcuni hanno preso e stanno prendendo strade diverse rispetto alle proprie caratteristiche. Sono convinto che un grande fattore abilitante sia legato a ciò di cui abbiamo parlato all’inizio, cioè il digitale e una supply chain agile ed efficiente. Queste sono le pre-condizioni che consentiranno, ad alcuni operatori che hanno massa critica, alte capacità di investimento in tecnologie ed un brand molto forte, di candidarsi per offrire una soluzione completa ad un cliente che ieri aveva come suo interlocutore solo l’artigiano. Una figura che, talvolta con pochissima trasparenza, metteva a disposizione la sua personale soluzione. Naturalmente OBI sta lavorando in questa direzione: abbiamo i prodotti, stiamo sviluppando le tecnologie, il modello di offerta complessivo, le soluzioni per ispirare il cliente e per supportarlo nel progetto e nella realizzazione anche tramite i servizi di posa e installazione.
La trasformazione degli spazi tra prossimità e big box
Lo spazio è ancora un elemento determinate? Ovvero, il big box ha ancora ragione di essere, dopo aver parlato tanto di prossimità e riduzione degli spazi?
La prossimità opera sul servizio di convenience, che è un po’ quello che tutti abbiamo sempre fatto in grande distribuzione, ma questa non è più una proposta sufficiente nel lungo periodo. Pensiamo ad esempio ai nostri banchi per le lampadine, banchi sui quali abbiamo lavorato molto per renderli leggibili, semplici. Ci siamo impegnati, siamo stati bravi ma oggi, e sempre più domani, il cliente svita la lampadina, legge il codice e la compra via web: semplice e rapido. Con questo non voglio dire che questa formula scomparirà, ma certamente dovrà fare delle scelte e quelle potranno essere solo in ambito progettuale. Un plus che l’eventuale negozio o catena potrà permettersi grazie ai fornitori in dropshipping, una propria struttura di supply chain e, soprattutto, un’elevata qualità del personale impiegato.
Quindi la formula distributiva del centro brico, per come l’abbiamo sempre intesa è destinata a scomparire?
Penso che sia necessario metabolizzare il fatto che, nel commercio fisico, il “modello solo supermercato brico” sia morto perché l’eCommerce lo sa fare meglio e in maniera più efficiente. Pensare di poter sopravvivere con quel modello è, dal mio punto di vista, un grande azzardo. Torniamo un attimo al 2022, quando improvvisamente sono esplosi una serie di costi come l’energia, i trasporti, le merci, gli affitti, perché questi sono spesso indicizzati all’inflazione e pensiamo se questo accadesse nuovamente tra un po’, dopo un ulteriore periodo di crescite modeste di volumi, gli effetti sarebbero devastanti per molti operatori. I centri brico hanno la necessità di trovare nuove vie per far crescere i fatturati, e l’area dei progetti legata ai piccoli e grandi interventi di ristrutturazione offre un enorme potenziale in tal senso.
La proposta del format OBI
In questa situazione OBI, a partire da quanto abbiamo sentito in occasione del Global DIY Summit di Roma, per voce del CEO Sebastian Gundel, sta affrontando una importante evoluzione. Lei è rientrato in Obi Italia ormai da un anno. Oltre all’apertura a La Spezia, su cosa avete e state lavorando?
Partendo dal presupposto di cui sopra, che vale per l’Europa e ancor più per l’Italia, in OBI abbiamo iniziato a lavorare gettando le basi per trasformare i negozi attuali nei negozi del futuro, che noi chiamiamo “connected store”, negozi che continueranno ad essere uno degli elementi centrali della nostra offerta, negozi che grazie al supporto della tecnologia saranno perfettamente integrati nell’eco sistema digitale di OBI, sistema nel quale la differenza, e questo forse è un pò sorprendente nell’era delle tecnologie, la faranno le persone: la vera sfida sarà proprio questa, in termini di formazione, sviluppo dei talenti, lavoro sul senso di fare squadra tutti insieme. Questo a partire dal back office che gestisce la disponibilità della merce, la preparazione degli ordini, il tracciamento delle consegne per passare al personale di vendita addetto alle relazioni con il cliente, che deve essere preparato nel seguirlo, deve conoscerne le abitudini per indirizzarlo ed accompagnarlo verso la soluzione migliore. Naturalmente alla base deve esserci quello che chiamiamo il mondo delle competenze per avere accesso immediato alle caratteristiche del prodotto e dare supporto alla sua eventuale installazione.
In che modo?
Punto vendita fisico a parte, parliamo ad esempio di assistenza in tempo reale mediante video chat oppure attraverso la nostra App, tra cliente ed esperti. Di fatto stiamo parlando della costruzione di un network, dove il negozio è uno degli elementi e OBI non è più un’insegna che vende solo prodotti ma un brand che mette in collegamento i migliori esperti possibili ed i migliori prodotti con il cliente, consentendo di costruire delle soluzioni che siano personalizzate, anche tramite l’utilizzo di partner esterni. Per fare questo la tecnologia e la logistica sono i prerequisiti fondamentali, ma siamo convinti che, mai come oggi, le persone siano determinanti per il successo dell’organizzazione.
Tutto ciò si è già concretizzato?
In Germania siamo più avanti sotto il profilo del roll out delle nuove applicazioni e tecnologie. In Italia si è visto qualcosa del mondo che verrà già a La Spezia, negozio che peraltro sta registrando un aumento dello scontrino medio che è del 60% più alto rispetto alla media di tutti gli altri negozi che abbiamo in Italia. Lì abbiamo varato un modello organizzativo nuovo che consente di avere team dedicati al servizio clienti. Lo facciamo già all’ingresso, con il box di accettazione, che non è semplicemente un posto dove diciamo buongiorno e benvenuto, ma chiediamo in cosa possiamo essere utili ed è il punto di partenza dell’analisi del cliente e delle sue esigenze per poterlo indirizzare ed accompagnare tramite i nostri addetti vendita. In questo senso il livello di soddisfazione, che abbiamo misurato anche con le esperienze fatte in Germania, è elevato, ed ha un impatto molto positivo sul percepito livello di servizio che, cosa fondamentale, si traduce in conversione.
OBI in Italia, da La Spezia in poi
Cosa ha generato un aumento dello scontrino così elevato a La Spezia?
Indubbiamente l’offerta dei servizi di progettazione e installazione, mentre sui prodotti abbiamo adottato un approccio aggressivo per gli articoli ad alta battuta al fine di renderli più accessibili rispetto agli acquisti tramite artigiani o specialisti, che vendono a prezzi molto più elevati. La democratizzazione dell’offerta, in particolare in questo difficile contesto economico, sarà un elemento importante sul quale concentrarsi per cogliere opportunità. Sono risultati che riflettono il lavoro in termini di organizzazione interna. In quest’ultimo anno, abbiamo lavorato molto sull’area vendite, per renderla più dinamica e “commerciale”, sul marketing, varando un piano nuovo, differente e molto concentrato sull’activation e sul negozio e, soprattutto, in termini di personale, lavorando sulla motivazione e sulla formazione.
Concretamente?
Solo per fare un esempio, abbiamo realizzato una grande operazione di delega nei confronti dei direttori dei punti vendita. Fino a ieri i nostri direttori erano molto focalizzati sulla tenuta del negozio, ma in futuro il loro sarà un lavoro al 100% manageriale, focalizzato sulla gestione dei team e sulla gestione del negozio e dell’offerta e quindi soprattutto dei clienti. Siamo convinti che sia necessario creare un maggiore coinvolgimento, perchè l’unica modalità per cambiare le performance è avere delle persone ingaggiate, motivate, competenti, appassionate e che si sentano libere di mettere sul tavolo le loro competenze, liberi di fare senza aver paura di sbagliare.
Con quali risultati per OBI Italia?
Eccellenti. Già a maggio-giugno del 2023, dopo pochissimi mesi, abbiamo iniziato a crescere come fatturato in maniera molto robusta, e, anche se la chiusura dell’anno è stata complicatissima per il mercato, noi abbiamo tenuto, rallentando la crescita, ma sempre con fatturati positivi. Il 2024 per noi è iniziato bene e siamo in contro cifra positiva in un mercato che mi pare sia invece in difficoltà nel mantenere i fatturati dell’anno precedente. Siamo anche riusciti a guadagnare in efficienza ed in questo modo abbiamo liberato risorse da investire su persone, marketing e, nel frattempo, abbiamo anche strutturato ed avviato tutta una serie di iniziative organizzate in un piano integrato di turn around e transformation, per portare avanti la visione strategica di cui sopra.
Vi siete dati un timing?
Il progetto di trasformazione ci vedrà impegnati per i prossimi 18/24 mesi.
Concretamente nei negozi nei prossimi mesi cosa vedremo? Inizierà una fase di rebuilding?
No, non subito, per il vero e proprio rifacimento completo dei negozi aspettiamo ancora qualche mese, prima vogliamo finire di mettere a punto tutti gli elementi della visione strategica complessiva. Il percorso richiede che tutto debba avvenire simultaneamente ed in maniera coordinata e coerente per garantire il sufficiente impatto. Stiamo andando avanti con la sperimentazione e lo sviluppo in alcuni negozi dei diversi moduli testandone l’efficacia e facendo gli opportuni correttivi. La sola tecnologia, lo sviluppo della supply chain, il lavoro sulle persone, l’ampliamento dell’offerta digitale sono elementi che singolarmente non credo ci faranno fare il grande salto in avanti, occorre che tutto sia coordinato ed avvenga in maniera integrata.
OBI Italia apre al franchising
In che modo la produzione ha capito e segue questo processo di cambiamento della distribuzione non food?
L’industria è sempre stata storicamente capace di evolvere, di seguire quelli che sono i cambiamenti in atto dei suoi grandi clienti distributori ed ha sempre saputo leggere i bisogni del cliente finale. Sono convinto che l’industria stia leggendo molto bene cosa sta accadendo, ovviamente credo che anche in futuro il tema della negoziazione rimarrà importante, ma penso sia giunto il momento di costruire dei veri piani di categoria di lungo periodo insieme, perché entrambi, distributore e fornitore, devono avere il giusto tempo per il giusto ritorno sull’investimento; investimento che va fatto congiuntamente. Abbiamo iniziato, in Italia, ad avere degli spazi per il cosiddetto vendor management, su determinati assortimenti dove sappiamo che i mutamenti dei trend, dei gusti e delle preferenze dei consumatori, richiedono grande velocità nell’adattarsi all’evoluzione dei bisogni. Non è più possibile lavorare con le logiche del passato, quando incontravamo dieci fornitori poi ne sceglievamo tre, in seguito costruivamo il merchandising, partivamo con il roll out in tutti i negozi e nel frattempo passava un anno. Al contrario, una volta che noi abbiamo deciso il posizionamento è il fornitore che deve velocemente proporre l’assortimento e aggiornarlo secondo i trend emergenti, per seguire e possibilmente anticipare ciò che anche lui legge presso altri clienti, nel mercato, nei suoi uffici di ricerca e sviluppo.
Un altro dei punti evidenziato da Gundel è l’impulso al franchising che in Italia, per OBI, non è mai stato molto importante (attualmente sono 4.Ndr). Che sviluppo è previsto in questo senso?
Crediamo che il franchising sia una formula molto interessante per noi ma anche per quegli imprenditori locali che hanno i giusti prerequisiti. Se è vero che credo molto nel brand e nelle economie di scala che consentono ai grandi player di affrontare grandi investimenti, dall’altro continuo a vedere anche un certo tipo di imprenditoria, con un focus molto locale, che saprà continuare ad operare molto bene sul mercato, perché agile e molto vicina ai bisogni dei consumatori locali. Questi imprenditori probabilmente hanno una potenziale area di difficoltà, in prospettiva, legata alla bassa presenza sui canali digitali. Ed ecco perché il franchising potrebbe essere un win-win per entrambi. Potranno essere imprenditori con negozi esistenti oppure ex novo, imprenditori che vogliono investire nel non food. In Germania il franchising rappresenta circa il 30% del fatturato totale ed è stato fondamentale per lo sviluppo dell’insegna; abbiamo il know how necessario per implementarlo ed espanderlo anche in Italia.
Ma OBI è più caro di altre insegne?
Quello che spesso emerge dal mercato è che OBI abbia i prezzi più elevati rispetto ad altre insegne. Che ne pensa?
Una delle prime cose che ho fatto quando sono rientrato in OBI è stata quella di realizzare un’indagine sul consumatore e, in effetti, dai risultati era emersa una percezione di prezzo più elevata rispetto ad altri player. Tuttavia, questa percezione non trova riscontro nei fatti, per lo meno non in confronto alla totalità dei player.
E se si tratta per lo più di una percezione, da cosa è causata? E in che modo state ponendo rimedio?
Dal modo di proporsi del negozio. Pensiamo ad un ipermercato e alla massificazione del prodotto. Indubbiamente, questo approccio già comunica la percezione di un prezzo di un certo tipo. In OBI si era un po’ perso il gusto di lavorare la merce, con una comunicazione che non parlava quasi mai di prezzi o di promozione e, non ultimo, avevamo, in alcuni casi, effettivamente un pricing non accorto. Eravamo più cari su alcuni prodotti, molto importanti per costruire la price image dell’insegna, e troppo convenienti su prodotti sui quali invece era possibile marginare di più. Oggi, sul fronte dei prezzi siamo molto chiari e se la frequenza delle visite ai nostri negozi sta aumentando e il numero di scontrini cresce, ormai da un anno, in maniera consistente, penso che anche la price image e la capacità di attivare il consumatore siano migliorate e contribuiscano a questo risultato.
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