Ten: DIY and Garden
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Conto alla rovescia, ricomincia l’attesa


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Ten minutes DIY and Garden

Il concordato preventivo è uno strumento che la legge mette a disposizione dell’imprenditore, in crisi o in stato di insolvenza, per evitare la dichiarazione di fallimento, attraverso un accordo destinato a portare ad una soddisfazione, anche parziale, delle regioni creditorie.

E’ per questo si chiama preventivo, appunto perché “previene” il fallimento.

Un chiarimento, banale e superfluo per molti, abbiate pazienza, ma non per alcuni che, magari sono poco avvezzi a terminologie e procedure di questo genere.

E’ un termine (e soprattutto uno strumento) cui la realtà della crisi economica di questi ultimi anni, ci ha un po’ abituati e testimonia, come nelle intenzioni della Legge Fallimentare che lo regola (ossia dal Regio Decreto n. 267 del 16 marzo 1942, con successive modifiche più attuali), la volontà di favorire il risanamento e, soprattutto, il proseguimento dell’attività d’impresa.

Naturalmente, il riferimento va alle notizie di Self Italia di questa settimana e all’effetto che questo ha prodotto sugli operatori del settore, di qualsiasi livello e posizione lavorativa. Una notizia arrivata dopo qualche mese di attesa, dopo molteplici dichiarazioni fatte dall’azienda ai fornitori, e che mette un punto fermo alla situazione. Non necessariamente negativo.

Intanto un concordato non è una semplice domanda per l’accesso ad una modalità amministrativa, ma impone anche la presentazione di una proposta, una soluzione, dove si comunichi, con chiarezza, quali sono i tempi e le modalità per l’adempimento della stessa, ovvero il risanamento dell’azienda. Un piano che deve essere dettagliato, preciso e che, successivamente dovrà ottenere il benestare anche da parte dei fornitori.

Al di là dei requisiti per l’ammissione al concordato preventivo e il successivo ruolo del Tribunale di competenza, ciò che interessa la riflessione sulla vicenda Self Italia, è il tipo di concordato richiesto che è quello “in continuità aziendale” (art.186-bis).

Si tratta di una formula che deve essere “funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori” e viene incentivata perché favorisce il mantenimento dell’occupazione e la prosecuzione della vita dell’impresa. Una prosecuzione che deve essere garantita dal debitore oppure da un terzo (in caso di vendita o affitto dell’azienda in una o più società, anche di nuova costituzione).

Il risanamento e il pagamento dei debiti può avvenire con la vendita di beni non funzionali all’attività, con i proventi derivanti dalla prosecuzione dell’attività o, per l’appunto, dalla “cessione, ossia il trasferimento del complesso aziendale o di un ramo di azienda in capo ad un altro soggetto imprenditoriale dietro pagamento di un prezzo o il conferimento, ossia il trasferimento dell’azienda o di un ramo dotato di autonomia funzionale, ricevendo come contropartita l’attribuzione di una partecipazione al capitale della società conferita della stessa ad una o più società” (il socio??).

In sintesi: l’azienda che ricorre al concordato in continuità aziendale si mette al riparo da azioni di natura fallimentare e, in accordo con tutte le parti coinvolte, propone una soluzione ai creditori, nei tempi, nei modi e nell’entità. Nel frattempo l’attività prosegue e può chiedere finanziamenti, essere affittata o venduta ad altri soggetti imprenditoriali, in toto o in parte.

Ora non rimane che aspettare i tempi tecnici, affinché ci siano tutte le condizioni per far sì che la domanda di concordato sia omologata. Per questo saranno decisivi, in modo equivalente, l’esame della relazione presentata, da parte del Tribunale, il parere del Commissario nominato e, non ultimo, il parere dei creditori.

Nel frattempo, si potrebbe ipotizzare che, una tale condizione, potrebbe rivelarsi più attraente per il socio più volte dichiarato. Sarebbe, in tal modo, tutelato verso i debiti pregressi, con la possibilità di concentrare gli sforzi verso quegli investimenti necessari per riempire nuovamente i negozi. Ed è quello che fortemente ci auguriamo.



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