Ten: DIY and Garden
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Botteghe e negozi di vicinato in caduta libera


Questo il risultato dell’indagine della CGIA di Mestre, da sempre particolarmente attiva con il suo centro studi. Negli ultimi 8 anni (giugno 2009/2017), in Italia, hanno chiuso quasi 158.000 imprese attive tra botteghe artigiane e piccoli negozi di vicinato (**). Di queste, oltre 145.000 operavano nell’artigianato e poco più di 12.000 nel piccolo commercio.

La CGIA stima che a seguito di queste chiusure abbiano perso il lavoro poco meno di 400.000 addetti. “La crisi, il calo dei consumi, le tasse, la burocrazia, la mancanza di credito e l’impennata del costo degli affitti – denuncia il coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA Paolo Zabeo – sono le principali cause che hanno costretto molti piccoli imprenditori ad abbassare definitivamente la saracinesca della propria bottega. Se, inoltre, teniamo conto che negli ultimi 15 anni le politiche commerciali della grande distribuzione si sono fatte sempre più mirate ed aggressive, per molti artigiani e piccoli negozianti non c’è stata via di scampo. L’unica soluzione è stata quella di gettare definitivamente la spugna”. La caduta, purtroppo, è continuata anche negli ultimi 12 mesi: tra il giugno di quest’anno e lo stesso mese del 2016 il numero delle imprese attive nell’artigianato e nel commercio al dettaglio è sceso di 25.604 unità (-1,2 per cento).

In questi ultimi 8 anni, lo stock complessivo delle imprese attive nell’artigianato è costantemente sceso da 1.463.318 a 1.322.640, le attività del commercio al dettaglio, invece, sono diminuite in misura più contenuta. Se nel 2009 erano 805.147, nel giugno di quest’anno si sono attestate a quota 793.102.

Le categorie artigiane che dal 2009 hanno subito le contrazioni più importanti sono state quelle degli autotrasportatori (-30 per cento), i falegnami (-27,7 per cento), gli edili (-27,6 per cento) e i produttori di mobili (-23,8 per cento). In contro tendenza, invece, i designer (+44,8 per cento) e i riparatori/manutentori/installatori di macchine (+58 per cento).

Dunque, per il rilancio dell’artigianato, una volta vero e proprio fiore all’occhiello del Made in Italy, non sarà sufficiente l’uscita dall’attuale stato di crisi economica, ma ci vorrà anche uno sforzo culturale, che porti a una radicale riconsiderazione del valore sociale del lavoro artigianale che con l’avvento della rivoluzione digitale subirà dei cambiamenti epocali. Una prospettiva assolutamente da perseguire, perché potrebbe aprire tante nuove opportunità di lavoro a migliaia e migliaia di giovani.

Ritornando ai dati, il Sud è stata la ripartizione geografica più colpita dalla chiusura delle attività artigianali. Sempre dal giugno del 2009 allo stesso mese di quest’anno, la diminuzione è stata del 12,4 per cento: Sardegna (-17,1 per cento), Abruzzo (-14,5 per cento), Sicilia (-13,5 per cento), Molise (-13,2 per cento) e la Basilicata (-13,1 per cento) sono state le regioni che hanno subito la contrazione più forte. In termini assoluti, invece, è la Lombardia (-18.652) il territorio che ha registrato il numero di chiusure più elevato. Seguono l’Emilia Romagna (-16.466), il Piemonte (-15.333) e il Veneto (-14.883). Anche nell’ultimo anno la contrazione del numero delle imprese artigiane attive nel paese ha interessato tutte le 20 regioni d’Italia.

Una delle principali cause che hanno costretto alla chiusura di queste 158.000 imprese artigiane e piccole attività commerciali è riconducibile al calo dei consumi delle famiglie. Queste attività, infatti, lavorano quasi esclusivamente per il mercato domestico e sebbene negli ultimi 3 anni i consumi sono tornati a salire, i benefici di questa crescita hanno interessato quasi esclusivamente la grande distribuzione organizzata. Dal 2006 al 2016, ad esempio, il valore delle vendite al dettaglio della piccola distribuzione (artigianato di servizio e piccoli negozi di vicinato) è crollato del 13,1 per cento; nella grande distribuzione, invece, è aumentato del 6,2 per cento. Questo trend è proseguito anche nei primi 6 mesi di quest’anno: mentre nei supermercati, nei discount, nei grandi magazzini le vendite sono aumentate dell’1,3 per cento, nei piccoli negozi la diminuzione è stata dello 0,6 per cento (vedi Tab. 4 e Graf. 2).

(**) le piccole attività commerciali, dette anche imprese del commercio al dettaglio, sono state conteggiate al netto della quota residuale di imprese artigiane (iscritte nell’albo artigiano nella divisione commercio al dettaglio e quindi già comprese nelle statistiche tra le imprese artigiane).



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